Dopo il Papa del dialogo un Pontefice della chiusura. Così Paolo Sorrentino ha immaginato il successore di Bergoglio nel film The Young Pope, dieci intensi episodi che ha scritto e diretto per la tv, in onda in prima serata su Sky Atlantic e Sky Cinema dal 21 ottobre. Un kolossal da 40 milioni di euro (di cui il regista premio Oscar sta già scrivendo il seguito), prodotto da Wildside con Sky, HBO, Canal+, già venduto in più di cento paesi. Sette mesi di riprese tra Roma, Venezia, Africa e America, con il Vaticano perfettamente e totalmente ricostruito negli studi di Cinecittà. Quasi due anni di lavoro per realizzare questo film di dieci ore spettacolare e avvincente, oscuro, imprevedibile, ma anche ironico e divertente, con al centro la solitudine della condizione umana.
Un cast stellare con Jude Law nei panni del quarantasettenne Lenny Belardo divenuto Pio XIII, il primo immaginario papa americano; Diane Keaton nei panni di suor Mary, che lo accolse bambino in orfanotrofio e ora al suo fianco in Vaticano; un eccezionale Silvio Orlando, infido e ironico Segretario di Stato e un altrettanto eccezionale Javier Càmara, maestro di Cerimonie. Non da meno Scott Shepherd, compagno di orfanotrofio votato alle missioni; James Cromwell, mentore del giovane Papa, Cécile de France, affascinante capo del marketing vaticano, Ludivine Sagnier, intransigente moglie di una guardia svizzera,Toni Bertorelli .
Accantonata l’idea di portare sullo schermo il già fin troppo rappresentato Padre Pio, il regista napoletano ha pensato a una serie televisiva su un Papa immaginario e inverosimile, diverso da tutti gli altri, agli antipodi di Bergoglio, un uomo legato alla tradizione della Chiesa cattolica, che allontanasse gli empi bollandoli di indegnità, che richiamasse i credenti a un fideismo di stampo oscurantista. Ha dato dunque vita a una saga epica, sulla solitudine, sulla prigionia, sul dubbio, sulla rabbia, sull’ambizione, sul potere, sulla difficoltà di essere adulti. “Belardo è un estremista, un settario, un fondamentalista, un apocalittico. Un Papa in lotta con sé stesso e con i propri fantasmi, che cerca di liberarsi di un’infanzia drammatica – spiega Sorrentino, presentando il film a Roma insieme a gran parte del cast -. Una figura dura per cui gli esseri umani dovrebbero credere in Dio rinunciando quasi a tutto il resto. Il clero è sempre stato rappresentato nella sua infallibilità e malvagità – aggiunge -, volevo raccontarlo per quello che è, con difetti e limiti, capacità e incapacità, fuori dai luoghi comuni. Non mancheranno i colpi di scena”.
Jude Law (abiti sciatti e meno fascinoso che in abiti talari) ammette che i troppi impegni romani non gli hanno permesso di andare a sentire il vero Papa. “La sceneggiatura era molto articolata – racconta – c’era molto materiale su cui lavorare. Sorrentino è stato molto chiaro nello spiegarci la sua visione, il compito di un attore è capire cosa vuole il regista e soddisfarlo nel dar vita a un personaggio, le contraddizioni del mio Papa ho cercato di rappresentarle più che capirle, riassumo il suo percorso in una parola: cambiamento”. Spiega di non condividerne i tormenti: “Ho già i miei personali – confessa -, ma ho aperto gli occhi su cosa sia per me la fede, mi ha colpito il percorso che mi ha portato a interrogarmi sul senso che ha per me”.
Perfetto e divertente Silvio Orlando nei panni dell’ironico e furbo stratega dietro le quinte. “A fine film mi sono sentito come la Cristoforetti, reduce da una missione nello spazio – spiega -. Sono frastornato da tanta bellezza, per me è un nuovo inizio”, ci auguriamo di una ancora lunga e prolifica carriera.
Anche Sorrentino è grato agli artefici di questa “nuova” televisione, unica nel linguaggio, nel modello produttivo, nell’originalità delle idee . “Mi hanno dato l’opportunità di fare un cinema d’autore poderoso, con una libertà creativa e una disponibilità economica importante”.
E’ convinto che questa sua ultima fatica piacerà ai cattolici che non si aspettano una lettura filologica, che staranno al gioco dei sentimenti umani, “che si accorgeranno che il film prova a togliere dagli occhiali le macchie umide e incrostate del conformismo”.