Riflessioni libere sul razzismo strumentale della propaganda
A poca distanza dalle elezioni italiane il tempo si ferma e il pensiero torna ad epoche antiche, inquisitorie, alle repressioni, ai rastrellamenti. L’Europa globalizzata fa paura. A chi? A coloro i quali, per citare Sloterdijk, si sono chiusi nella serra creata dallo spazio mondano del capitale. Quel mondo perfetto istituito dal mercato globale, visto dall’esterno come un “albero della cuccagna” e che, inevitabilmente, attrae come una calamita i derelitti di mezzo mondo, quelli che vivono all’esterno, fuori dalla serra e che fuggono da guerre e persecuzioni. Gli attacchi terroristici e l’esodo di rifugiati non sono altro che il tentativo di entrare nel palazzo del potere. Gli eventi maceratesi degli ultimi giorni, per altro durante la campagna elettorale, hanno acuito un problema tipico degli ultimi anni, l’“islamofobia”. Tralasciando la questione degli alberi genealogici delle decine e decine di gens che popolano il territorio italico, la domanda è: da dove nasce l’intolleranza?
Tra Normanni, Longobardi, Arabi, Goti, Mongoli e gli interni Volsci, Etruschi, Sabini, Latini, ecc. la gens italica si preoccupa oggi di una ulteriore commistione di etnia. L’ennesima. Affannosamente la stampa prodiga notizie dell’ultima ora sul nero che delinque, che uccide, che stupra. Dati alla mano, nel 2017 (Fonte Il Sole 24 ore) sul totale delle segnalazioni riferite a persone denunciate/arrestate nel periodo 1° agosto 2016-31 luglio 2017 (dati del Viminale «non consolidati»), pari a 839.496, quelle che riguardano stranieri sono 241.723. La percentuale è del 28,8%. Poco differente dal 30% dei dodici mesi precedenti.
Confrontiamo questi dati con quelli dei femminicidi in Italia? Nello stivale ogni due giorni una donna viene uccisa dal compagno. Uno sterminio. Un Olocausto che non attrae né la stampa, né tantomeno la politica alla ricerca dello “strumento” perfetto per calibrare il populismo e portarlo nella cabina elettorale. E la risposta è che è più semplice convogliare l’odio e la causa del proprio malessere verso una “causa esterna”, un “diverso” da odiare. La storia si ripete. I rigurgiti fascisti hanno terreno fertile. Ma se il razzismo di stampo neofascista non è una soluzione, non lo è nemmeno il buonismo becero e tollerante. Oscar Wilde ne L’anima dell’uomo sostiene che “…la gente con ammirevoli benché sbagliate intenzioni…si assume il compito di porre rimedio ai mali che vede. Ma sono rimedi che non guariscono la malattia: la prolungano. In realtà quei rimedi SONO la malattia”.
Durante una vacanza in Egitto, attorniati continuamente da bambini elemosinanti qualche euro, venivamo pregati dalle guide di non elargire nulla. Quei bambini attraverso l’elemosina avrebbero raccolto in un giorno quello che il loro genitore guadagna in un mese con la conseguenza che generazioni intere avrebbero tralasciato gli studi per scegliere la strada della mano tesa verso il ricco turista. Allo stesso modo l’elemosina verso il meno fortunato, la tolleranza ad opera di alcuni ingenui buonisti, qui da noi, non fanno che prolungare il problema, non offrendo alcuna soluzione. Sfavoriamo maggiormente l’espansione del problema non concedendo elemosina, cinicamente come quando, acquistando l’ultimo modello di smartphone, non pensiamo al fatto che gran parte dei materiali di fabbricazione sono ricavati in condizioni di sfruttamento dei lavoratori, in situazioni di illegalità e abusi. Più cinici dunque e un po’ meno razzisti.
Alessio Sperati