Amore, solitudine, caparbietà di un uomo imprigionato nel trauma del lutto, abbarbicato a un ricordo doloroso e all’ inesorabile smembramento di una comunità dopo un terremoto. E’ zeppo di sentimenti Il bene mio di Pippo Mezzapesa, nelle sale dal 4 ottobre dopo una doverosa anteprima ad Amatrice, città spezzata da un analogo terribile sisma. Un film sull’ incapacità di accettare il dolore, sul rifiuto dell’arbitrarietà di un evento disastroso, sul conflitto tra la vita e la morte, girato tra Gravina di Puglia e Apice vecchia nel beneventano, affidato dal trentottenne regista pugliese al suo secondo lungometraggio (Il paese delle spose infelici del 2011) a un eccezionale Sergio Rubini.
L’attore si cuce addosso con estrema naturalezza gli sgualciti panni del solitario Elia, rimasto unico abitante di Provvidenza, piccolo borgo abbandonato dopo un terremoto che è costato la vita all ’amata e indimenticabile moglie Maria, rimasta sepolta coi suoi alunni sotto le macerie della scuola elementare.
Inutili i tentativi di amici e parenti di convincerlo a traslocare a valle, lui persegue con ostinazione il suo obiettivo di riportare in vita gli oggetti e i luoghi distrutti dall’incuria.
Ottima la scelta di Mezzapesa di affiancargli i bravissimi Dino Abbrescia, l’amico del cuore di Elia disposto a tutto pur di riportarlo alla ragione, Teresa Saponangelo, ex collega della moglie che si prende cura di lui, Francesco De Vito, sindaco e cognato di Elia determinato a chiudere per sempre le vie di accesso a quel che resta del pericolante paese-fantasma. L’arrivo imprevisto di una giovane clandestina (Sonya Mellah) riuscirà a cambiare le carte in tavola. Il regista sottolinea l’importanza del recupero rispetto alla rottamazione degli oggetti, dei sentimenti e dei luoghi di appartenenza, in maniera valida, anche se forse un po’ troppo insistente e ripetitiva, usando comunque un linguaggio universale che accomuna tutti i sud del mondo e in cui tutti potranno riconoscersi.