La boxe femminile non è tra gli sport più seguiti ma certo acquisterà parecchi nuovi estimatori tra coloro che in primavera, grazie a Cinecittà Luce, vedranno al cinema Butterfly, il toccante, imperdibile film documentario realizzato da Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman sulla vita agonistica e privata di Irma Spada, la giovanissima campionessa del ring, prima donna pugile a partecipare alle Olimpiadi.
L’atleta allora diciottenne si qualificò per i giochi del 2016 ma dal Brasile non tornò vittoriosa. Andò in crisi, sembrò voler mollare tutto, ma la sua tenacia e l’aiuto fondamentale di Lucio, lo storico maestro di palestra e di vita, la spinsero, fuori dai clamori delle luci della ribalta ormai spente, a guardarsi dentro, a riscattarsi e a cercare la sua strada. Che oggi la proietta verso i Giochi Olimpici del 2020. Anche se, vista l’ottima prova da attrice dimostrata nel docufilm, non è da escludere anche un suo futuro nuovo incontro con i set.
Autori e protagonista hanno presentato il film alla Festa del Cinema di Roma, in concorso ad Alice nella Città. Una storia di formazione magistralmente realizzata, con perfetto equilibrio tra vita reale e fiction, non incentrata sulla boxe ma sulle vicende interiormente vissute in quel momento dalla ragazza. Cresciuta nel popolare, degradato quartiere napoletano di Torre del Greco, con padre assente, mamma provata dalla fatica di mandare avanti da sola la baracca, fratellino sveglio ma refrattario alla scuola che potrebbe scivolare su una brutta china, Irma trova nei guantoni la sua valvola di sicurezza. Alessandro e Casey l’hanno seguita passo passo per tre anni per entrare in quel suo mondo forte come il suo sport, capire cosa c’era dietro. “Hanno dato più valore a me ragazza che alla mia storia sportiva, a come stavo crescendo, alle mie fragilità – conferma lei -, all’inizio la presenza della telecamera mi terrorizzava”. La loro bravura sta nel comunicare allo spettatore, in modo forte e insieme leggero, una miriade di emozioni che fanno riflettere sulla lotta quotidiana che ogni giovane deve affrontare per crescere.
Il primo incontro tra i tre risale al 2015: “con una troupe minima per non interferire troppo nella realtà – spiegano gli autori -. Dopo le Olimpiadi abbiamo intensificato le riprese, ogni quattro, cinque mesi calavano a casa sua, eravamo ormai parte della sua famiglia, ci è servito a catturarne anche i conflitti”. “Il successo mi ha caricata di responsabilità, non ne ho retto il picco, è arrivato all’improvviso – racconta Irma -. La caduta alle Olimpiadi mi ha rattristata, volevo a tutti i costi una medaglia, ma fallire in quella impresa è stata quasi una fortuna, mi è servito a crescere”. Il voltafaccia dei suoi fan l’ha fatta soffrire molto: “ho scoperto la cattiveria umana, la mia ripartenza mi ha fatto capire chi realmente mi stava vicino. Nel film non volevo fare bella figura ma ‘cacciare’ fuori la mia vera personalità. I due registi sono entrati con i piedi di piombo nella mia quotidianità, mi sono imposta di essere me stessa”. E tutti e tre sono perfettamente riusciti nel loro intento.