Dal 17 dicembre in sala il nuovo film della coppia Castellitto – Mazzantini
Presuntuoso, confuso, senz’anima. Non fa scaturire aggettivi particolarmente positivi il film di Sergio Castellitto La bellezza del somaro, tratto dal romanzo della moglie Margaret Mazzantini, che l’attore ha diretto e interpretato con Laura Morante, Enzo Jannacci, Marco Giallini, Barbora Bobulova, Gianfelice Imparato, prodotto dalla Warner Bros. Pictures Italia che lo distribuirà in 250 copie dal 17 dicembre.
Lui, architetto, e la Morante, psicologa, sono una più che ricca coppia di mezza età che stenta a fare i conti coi propri anni. E con la loro unica figlia diciassettenne, più matura di loro, e i tanti vecchi amici del liceo anch’essi inguaribili “Peter Pan” con figli che rispecchiano le varie tipologie moderne e, all’apparenza, disadattate. I due sono moderni, dinamici, ecosolidali, tolleranti, fino all’arrivo per il week end nel finto-rustico casale di campagna del “fidanzatino” della figlia (Jannacci), una cinquantina d’anni più vecchio di lei. È intelligente, affidabile, ma vecchio, il vero tabù della nostra epoca antiossidante, botulinica, antiage. Farà saltare i precari equilibri di questa coppia di cinquantenni giovanili che perderanno i pezzi e cominceranno a vacillare con i loro altrettanto inconsistenti amici.
Per Castellitto il film è “un’intelligente alternativa ai cinepanettoni”, e gli ingredienti per una gustosa commedia e una divertente riflessione sulle varie fasi della vita umana, c’erano tutti. Ma il duo Mazzantini-Castellitto ha spinto troppo l’acceleratore sul compiacimento della propria intelligenza, perdendo di vista la capacità di trasmettere emozioni. «Io miro in alto – dichiara Castellitto – penso a Cechov, la nevrastenia è tipica di questo secolo, è generazionale». E nevrastenico è risultato il suo modo di raccontare. «Affrontiamo temi serissimi attraverso una pernacchia» aggiunge l’attore-regista. Ma forse proprio con le pernacchie (in senso figurato, naturalmente) ha esagerato. Nel caos urlato che Castellitto è riuscito a creare intorno alla vicenda, c’è poco dell’impianto “british” che pensa di aver dato al film. Traspare invece tutta la presunzione dell’ intellettuale (termine qui usato in negativo) che scrive a tavolino ogni pezzetto di dialogo, pensando forse che siano cosa di poco conto puntare sui tanti soliti luoghi comuni, o la pessima presa diretta che rende incomprensibili interi dialoghi.
Bravo comunque il cast, con una Morante però ormai sempre sopra le righe, e un Giallini nel solito clichè dello sciupafemmine, qui ex-marito di rigida giornalista rampante e rompiballe. Ottima la prova della Bobulova, seppur nei panni troppo colorati della svitata paziente della psicologa, dell’eccellente Emanuela Grimalda, madre bulimica di figlio bulimico con marito manager depresso e imparruccato (Imparato). Ad infarcire il film dell’ennesimo luogo comune c’è la colf dell’est rigida e ricattatoria.