Nei cinema dal primo aprile i personaggi della celebre fiction
Dopo tre fortunate serie televisive l’irriverente fiction Boris diventa un film, in 300 sale dal 1 aprile. Tre registi, Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo, per confezionare ad hoc la sceneggiatura e dirigere quasi tutta l’esilarante squadra del serial (da Valerio Aprea a Ninni Bruschetta, Antonio Catania, Carolina Crescentini, Alberto Di Stasio, Caterina Guzzanti, Francesco Pannofino, Pietro Sermonti, Giorgio Tirabassi, Massimiliano Bruno) destinata stavolta a fare un salto di qualità. A cominciare dal regista René Ferretti (Francesco Pannofino) che dopo aver rifiutato un’altra fiction, stavolta sul giovane Ratzinger, abbandona il set demoralizzato. A farlo risorgere sarà un progetto ambizioso: dirigere un film impegnato dal libro-denuncia La casta di Rizzo e Stella, con attori e troupe stavolta di serie A.
Boris –Il film prodotto da Raicinema, la Wildside di Fausto Brizzi e Sky Cinema, è una commedia agro-dolce davvero esilarante, che però, spiegano gli autori, utilizza la risata per sottolineare in modo molto graffiante i compromessi e le storture che ruotano intorno al mondo dello spettacolo, ma anche per fare un quadro grottesco sul momento storico che stiamo attraversando. La sgangherata troupe finirà infatti per virare sul classico, volgare cinepanettone, ambito dai produttori, che salverà capra e cavoli. «In Italia siamo rassegnati al brutto, alle bugie – commenta Pannofino -. Nel film raccontiamo un ambiente di lavoro come tanti, con le gerarchie, i capricci, le bassezze umane. Eppure gli italiani sono intelligenti, ironici, bisogna farli risvegliare, tirar su la testa».
La feroce critica al cinepanettone è riassunta dal regista Glauco (Tirabassi) al collega Renè -Pannofino (al quale presenta ridendo il “numero 5 di Medusa”, ossia uno sconvolto scimpanzè): «Tutti i personaggi negativi diventano positivi; corrotti e corruttori diventano simpatici e amano mettere le mani sulle tette, che servono a far soldi al botteghino». I registi-sceneggiatori sviscerano i luoghi comuni e le paure del mondo del cinema. «La Tv è come la mafia, non se ne esce se non da morti», dice il regista di soap. «Se va male mi retrocedono, dalla Tv al cinema. E poi… dopo il cinema c’è la radio e dopo la radio, la morte», gli fa eco il capostruttura (Catania). Esilarante la presa in giro dell’attrice introversa (in cui non stenti a riconoscere certi vezzi di Margherita Buy) perché i registi volevano mettere alla berlina la “dittatura dell’insicurezza” che impera nel loro mondo. Per non parlare della performance dell’attrice “cagna”, imposta dai produttori, in cui si è calata, divertita, Carolina Crescentini.