Una canzone d’amore può raccontarti i passi di una vita perduta, rappresentare l’attimo d’oblio e negazione per poi condurre nuovamente ad una ripacificazione interiore. Una lenta melodia della Lousiana può narrare la vicenda di una figlia mai conosciuta, persa in nome di un limbo all’interno del quale è possibile vivere tra finzione e realtà. Ma quelle stesse note delineano, soprattutto, la strada del ritorno per un uomo travolto dai fantasmi di un passato rinnegato. La regista Shainee Gabel ha impegnato cinque anni per dare corpo e voce a questa “canzone” del profondo Sud per far in modo che diventasse il cuore pulsante di A Love Song for Bobby Long, suo debutto alla regia cinematografica. Documentarista di successo ( il suo primo lavoro è stato nominato come uno dei miglior documentari dell’anno dall’Academy of Motion Pictures Arts and Sciences ed ha ottenuto anche il premio FIPRESCI), la Gabel ha riscoperto tra le pagine del romanzo “Off East Magazine St.” i colori accessi di una New Orleans bruciata dal sole e dalla pigrizia, sedotta dal mistero e dalla magia ma comunque immersa in un sottile degrado. La città non è mai fotografata e cantata attraverso i toni vivaci ed eccessivi che invadono le vie nei folli giorni del carnevale, ma gradatamente è presentata attraverso i ritmi lenti e trascinati di un blues che narra le vicende di coloro che sono invisibili ed accompagna i passi stentati di un John Travolta chiamato ad interpretare il ruolo più sfaccettato e complicato dopo quello sostenuto in Pulp Fiction. Bobby Long, profeta dall’innegabile spirito letterario, incarna l’eroe negativo distrutto dalla dipendenza dell’alcool, un personaggio che sembra far rivivere con nitida concretezza i ritratti umani celati tra le pagine dei romanzi di Tennessee Williams, un dannato dall’animo luminoso che cela dietro il cinismo e la ruvidezza il desiderio e la capacità di donare la sua eccezionale scintilla vitale.
Totalmente imbiancato, appesantito e notevolmente trasandato, John Travolta sembra essersi calato con naturalezza e rispetto all’interno delle trame fitte di una vita non sua, ma che pretende di essere narrata attraverso diversi piani emotivi. Drammatico eppure ironico, visionario ma razionalmente lucido, il suo Bobby porta sul volto le tracce di un’esistenza vissuta sopra le righe, travolgendo e seducendo con ansia e determinazione ma mai cadendo nella trappola della consuetudine emotiva. Ma al di là della singola interpretazione A Love Song for Bobby Long è un percorso emozionale all’interno del quale è possibile rintracciare la consistenza e la solidità dell’amore visto e rappresentato non come attrazione e reciprocità fisica, ma come riconoscimento elettivo. Un sentimento nascosto tra le luci e le ombre che caratterizzano la stretta dipendenza creatasi tra Bobby, Pursy (Scarlett Johansson) e Lawson Pines (Gabriel Macht) e nella presenza eterea eppur consistente di una madre sconosciuta, capace di donare alla propria figlia il valore di una famiglia, per quanto bizzarra, solo attraverso delle note tracciate su di uno spartito. Unico elemento negativo un finale volto interamente al raggiungimento di un riscatto sociale e personale di ogni singolo protagonista dalle atmosfere cinematograficamente un po’ troppo didascaliche. Un neo facilmente ignorabile se ci si lascia trascinare da quella partecipazione pura che Shainee Gabel è riuscita a ricreare utilizzando esclusivamente una piccola vicenda di quotidiana drammaticità, le avvolgenti sonorità del blues ed i percorsi stentati di coloro che vivono ai margini, inconsapevoli della loro leggendarietà, regalandoci una ragione in più per continuare a credere nelle emozioni del cinema.
di Tiziana Morganti