Due sceneggiatrici che collaborano insieme da oltre sette anni, Ines Paris e Daniela Fejerman, abituate al mondo teatrale, realizzano il loro primo lungometraggio nel 2001 e fanno incetta di premi e riconoscimenti. Per questo film, l’incantevole Leonor Watling ha vinto il Golden Prize e ora, dopo aver lavorato con Pedro Almodovar in Parla con lei e precedentemente con Bigas Luna in Son de Mar, è avviata ad una carriera che non prevede battute d’arresto. Nel ginepraio di una famiglia allargata e alquanto bizzarra, Leonor spicca per simpatia e a modo suo, con quel faccino alla Amélie sbarcata in Spagna, trascina le altre colleghe ad adattarsi a una commedia spumeggiante e briosa, con buoni momenti di scrittura. Nella parte della nevrotica e scalmanata Elvira che non accetta la relazione della madre vedova con una giovane pianista e fa di tutto per separarle, con la complicità delle due sorelle, è assolutamente irresistibile. Si dispera, ride e piange, si innamora di uno scrittore in modo assai maldestro, fa il buono e il cattivo tempo. Spesso esagera nel ruolo della gigiona ed infastidisce, ma furbescamente rende merito anche al talento delle altre colleghe, Rosa Maria Sardà (madre saffica), Maria Pujalte (sorella maggiore, dura, ambiziosa e…sposata) e Silvia Abascal (sorella minore, scombinata, sessualmente promiscua, cantante pop).
Un elenco doveroso, giacché le neoregiste hanno voluto una storia che permettesse loro di dedicarsi soprattutto alla direzione degli attori, territorio che grazie al lavoro teatrale, sentono particolarmente nelle loro corde. Il resto, infatti, pecca di oleografia e di convenzionalità: l’arrivo delle tre sorelle a Praga a ritrovar la “matrigna”, per dire, pare una cartolina a colori che si muove a guisa di tour promozionale di un’agenzia di viaggi last minute e solo negli interni, siano case accoglienti o camere d’albergo, quando la macchina da presa torna sui visi delle protagoniste il film riprende vigore e forza vitale. In piccoli frammenti, quelli più riusciti, si può intravedere una relazione con il maestro Almodovar, poi quando si è capito che l’equivoco nasce sostanzialmente da atmosfere e situazioni che potrebbero essergli gradite, l’incantesimo cessa. I capolavori di Pedro restano, questo è un buon bicchiere di prosecco: si beve e scivola giù in fretta, piacevolmente. Consigliato, ad ogni buon conto, a chi non è può più di samurai, “tarantinate” e cineserie varie, per sazietà o scelta di vita (chissà perché, ma non si fatica a vedere gruppi di signore non più giovanissime che si sbellicano dalle risate e provano piacere e imbarazzo per le scelte sessuali e sentimentali di una loro coetanea spagnola…).
di Vincenzo Mazzaccaro