Mai come in quest’ anno segnato dal fanatismo religioso, il cinema punta il dito sugli orrori della Shoah. Per ricordare, conoscere, capire, tre ottime pellicole da non perdere: Il Labirinto del Silenzio dell’italo-tedesco Giulio Ricciarelli, già nelle sale; il pluripremiato Il figlio di Saul di Laszlo Nemes, (nei cinema con Teodora dal 21 gennaio); The Eichmann Show – Il processo del secolo di Paul Andrew William, uscita evento con Lucky Red 25-27 gennaio.
“Questa è una faccia dell’uomo, è bene che non ve lo dimentichiate” ha sottolineato Nemes ritirando il Golden Globe per Il figlio di Saul, ora in corsa per la conquista dell’ Oscar. Ha impiegato molti anni per realizzare il film, che mostra il funzionamento della fabbrica di morte di Auschwitz attraverso i Sonderkommando, gruppi di prigionieri del campo scelti dalle SS per portare gli ebrei alle camere a gas, ai forni crematori, rimuoverne i cadaveri, ripulire tutto e disfarsi dei “pezzi” disperdendone i cumuli di ceneri. Saul crede di riconoscere il figlio nel cadavere di un ragazzo e tenta l’impossibile per salvarne la spoglia e trovare un rabbino che possa dargli degna sepoltura.
“L’aspetto più demoniaco del nazismo fu coinvolgere in quel lavoro sporco gli stessi ebrei, per dare agli assassini la possibilità di sentirsi innocenti” racconta il protagonista Géza Rohrig, presentando il film a Roma e ricordando che anche Primo Levi affrontò il dilemma etico alla base di questi mostruosi eventi. Per entrare nei panni di Saul, l’attore nato a Budapest, vissuto a Israele e ora a New York, ha letto tutti i resoconti usciti negli anni ’80. “Mio nonno mi spiegò tutto quando avevo dodici anni – ricorda -, i suoi fratelli non tornarono mai dai campi. Se non sei stato lì non puoi capire, mi disse, e se ci sei stato nessuno vorrà ascoltarti”.
Proprio per alzare quel velo di omertà si dibatte nel Labirinto del Silenzio un giovane e fino allora ignaro pubblico ministero tedesco (Alexander Fehling), che testardamente porta alla luce documenti che inchiodano i membri delle SS autori dei crimini nei campi di concentramento. La storia, basata su fatti reali, racconta gli sforzi di quest’uomo puro e duro per rompere la coltre di silenzio e assicurare i responsabili alla giustizia. Un pezzo di storia poco conosciuta, che mostra le difficoltà di arrivare al processo che nel ’63 mise a confronto più di duecento sopravvissuti a Auschwitz con una ventina dei loro aguzzini ma, soprattutto, portò la Germania a prendere coscienza di quel terribile capitolo del suo recente passato.
Ma il Processo del secolo fu quello che nel ’61 a Gerusalemme portò alla sbarra il criminale dei criminali nazisti Adolf Eichmann, condannandolo alla pena di morte. Fu il primo show mediatico trasmesso su tutte le reti tv del mondo, che incollò alla tv l’80 per cento della popolazione tedesca per assistere per la prima volta alle scioccanti testimonianze dei sopravvissuti all’Olocausto. Scritto da Simon Block , l’intenso e emozionante film di Williams rende partecipe lo spettatore delle peripezie affrontate dal produttore televisivo Fruchtman (Martin Freeman) e dal regista Leo Hurwitz (Anthony LaPaglia) per filmare e trasmettere quell’evento epocale, mischiando abilmente parti di fiction a spaccati di terribili, purtroppo vere, immagini documentarie.
Non si può non emozionarsi vedendo il vero volto del feroce assassino di sei milioni di persone, restare impassibile di fronte al ricordo di tanto orrore da lui organizzato dal 1936 al ’45, sentirlo dichiararsi non colpevole di 15 capi di imputazione. Un crimine senza precedenti, che tocca ciascuno di noi. “Perché il pubblico dovrebbe vederlo?” si chiedono gli autori dello show televisivo nel film. La loro risposta: “Per imparare che siamo tutti capaci di farlo. E resistere alla tentazione”.