Esce “Tutto tutto, niente niente”, dal 13 dicembre nelle sale italiane
In assenza dei ‘classici’ cinepanettoni, Antonio Albanese lancia la sfida natalizia al botteghino puntando sulla comicità con Tutto tutto, niente niente, diretto da Giulio Manfredonia, sequel del fortunatissimo Qualunquemente che un paio d’anni fa incassò oltre 15 milioni e mezzo di euro. Il film, prodotto da Fandango con Rai Cinema, è distribuito a tappeto da 01 Distribution, in 700 sale, dal 13 dicembre. Albanese l’ha scritto con Piero Guerrera, e ha voluto al suo fianco solidi attori come Lunetta Savino, Fabrizio Bentivoglio, Teco Celio, Lorenza Indovina, Davide Giordano, Nicola Rignanese, Viviana Strambelli, Manuela Ungaro, Vito e Paolo Villaggio in un piccolo cammeo ‘muto’.
Stavolta l’attore veste contemporaneamente i panni di tre personaggi: i già noti Cetto e Frengo e la new entry Olfo. Tre maschere che l’attore dice di odiare profondamente per i loro difetti, che qui rappresenta durante le loro surreali campagne elettorali. Il motto del ‘mistico’ e ‘super fumato’ Frengo Stoppato, in fuga da una madre bigotta e prevaricatrice che vuole ad ogni costo beatificarlo è «Le religioni si occupano molto dell’aldilà, dell’aldiquà invece, mi occupo io».
Per l’imprenditore veneto Olfo Favaretto, fanatico della ‘secessione morbida’ che trasformerà il Paese ‘da stivale a mocassino’, «L’Italia è una e indivisibile, da Rovigo a Cortina». L’eterno candidato in odor di mafia Cetto La Qualunque, invece, affronta questa nuova avventura politica dicendo: «Decidiamoci, i politici o tutti in carcere o tutti fuori. Mezzi dentro e mezzi fuori non è pratico, ne risente il sistema Paese». Finiranno tutti in galera, ne usciranno, portando in parlamento i loro volgari e sgangherati programmi. A tenerli a bada un surreale, cinico e lisergico sottosegretario (Bentivoglio, che si è ispirato allo stilista Karl Lagerfeld), sotto lo sguardo poco vigile del presidente del consiglio (Villaggio) intento più che altro a mangiare.
«Dopo Qualunquemente volevo continuare quel tipo di comicità sviluppando di più i ritmi, i gesti, la mia capacità fisica assemblando tre personaggi estremi per raccontare attraverso temi diversi le disfunzioni di questo paese» spiega Albanese, che anche stavolta punta sulla commedia “psichedelico-grottesca”, “comico-drammatica”, come il momento che stiamo vivendo. Lo sottolinea anche con costumi, trucchi, musiche e scenografie di sapore felliniano, coi festini esagerati che ricordano i recenti “porcellum”, con le escort, la strafottenza dei protagonisti.
«Sono tre cellule nevrotiche impazzite che rasentano la follia e che trasformo in caricature ridicole – sottolinea l’attore -. Odio profondamente questa fauna, è completamente diversa da me, l’ignoranza, la volgarità vanno combattute”. Soprattutto se rivolte alle donne, che Cetto usa come oggetti. «Trovo pazzesco che vengano trattate in questo modo. Stavolta l’ho castigato facendogli sfiorare l’omosessualità – sogghigna Albanese -. Per rimuovere il fatto di aver sfiorato un transessuale, Cetto chiederà all’analista se dopo i venti centimetri si può continuare a chiamarlo clitoride!».
Il ‘fumatissimo’ Frengo, sacerdote della cannabis, invece, tenta invano di fuggire da una madre ossessivamente bigotta (Lunetta Savino) che vuol farlo diventare ad ogni costo beato. Per redimerlo lo farà beccare con un bel carico di ‘erba’ e finire in prigione. Gustose le scene in Vaticano, le confidenze che farà al vescovo (Teco Celio), fino alla fuga finale alla riconquista della libertà. Meno pungente è la maschera di Olfo, il secessionista del Nord, che trafuga clandestini e si lagna perché ‘i neri nuotano’ come quello che, caduto da un ponteggio del suo cantiere, credendolo morto l’ ha buttato in mare, ma si è salvato e lo ha fatto arrestare.
«Olfo nasce dalle mie frequentazioni nel Veneto, una regione con un bel dialetto, ricca di estremi, di fantasia, seria e comica. Mi divertiva raccontarla attraverso l’ingenua brutalità di questo piccolo imprenditore che si trascina un pensiero così drammatico. Volevo rendere ridicolo un movimento che tra poco tempo, cavalcando la crisi, potrebbe portarci verso una deriva razzista. Dobbiamo prevenirlo con lo sberleffo, far capire alle nuove generazioni che sono persone ignoranti e stupide, profondamente criminali, poco rispettose, poco religiose». Ridere in tempo di crisi fa bene, sostiene Albanese: «Ironia e comicità servono a tamponare, eliminarle ci indebolirebbe. L’ironia ha sempre alimentato il pensiero, ci ha aiutato a fantasticare». Non sempre però si ride coi suoi personaggi. «È una questione di gusti – taglia corto lui -, non a tutti piace la stessa comicità».
Il film si conclude con una fuga. «Per determinate persone una rinascita è ancora lontana – commenta l’attore -, spero in un rigetto delle nuove generazioni verso certi comportamenti. Renderli ridicoli serve a indebolirli. Questo film sarà una chiusa, di più non posso dire, abbiamo il paese più bello del mondo, dobbiamo proteggerlo, difenderlo». Bella notizia per chi rimpiange l’Albanese di Mazzacurati e Archibugi: a marzo tornerà in un ruolo “serio” nel film L’Intrepido di Gianni Amelio.