Lavorare con dei bambini nel cinema non è sicuramente semplice ma altrettanto complesso è narrare delle storie che li riguardano. Imprevedibili e sempre in movimento come i loro protagonisti le vicende potrebbero prendere percorsi inaspettati o non rispondere completamente alle aspettative riposte in loro. Questo in parte è ciò che è accaduto ai sette cortometraggi che costituiscono l’anima e la ragione d’essere del progetto di All The Invisible Children. Per realizzare quest’opera i cui proventi verranno devoluti interamente all’Unicef ed il cui scopo primario è quello di richiamare maggiore attenzione sul dramma silenzioso ed invisibile di una infanzia spesso sfruttata e privata della sua stessa ingenuità, sono stati chiamati ben sette registi, tra cui tre grandi maestri del cinema internazionale come Spike Lee, Emir Kusturica e John Woo, la cui presenza però non è bastata a regalare compiutezza all’intero film. Certo nulla da obbiettare sul valore puramente artistico di ogni singolo corto, ma il dubbio permane su una qualità emozionale che troppo spesso appare scontata.
A volte può risultare fin troppo facile puntare la macchina da presa su dei bambini ed aspettare che la loro immediatezza faccia il resto. Se poi gli occhi inquadrati sono quelli di chi troppo giovane e troppo in fretta ha gustato le amarezze e le indifferenze della vita imbracciando un fucile o subendo gli effetti di una distruzione di massa il risultato appare fin troppo scontato. Stiamo parlando del tasto del sempre facile sentimentalismo che non viene utilizzato in questo caso specifico come arte mistificatoria o ricattatoria ma che, quasi inevitabilmente, prende la mano di alcuni registi come Mehdi Charef, Katia Lund e Jordan Scott. Ancora una volta la più politicamente scorretta ed umanamente corretta è la visione di Kusturica divisa tra dura realtà ed uno spiccato senso dell’onirico, immersa all’interno di una musica che invita alle danze ed alla mistificazione mentre un bambino scopre come l’unica salvezza possibile si annidi all’interno delle mura si un riformatorio minorile. Tanto per comprendere che fuggire alla vita costa un prezzo ben alto.
di Tiziana Morganti