Dalla barriera corallina a Sidney alla ricerca del figliol prodigo. Non è un battuta, è il senso del nuovo film d’animazione della Pixar, l’alter ego dell’animazione digitale della Disney Pictures. I protagonisti sono due pesci pagliaccio (per capirci quei pesciolini bianchi e rossi che abitano nelle anemoni), un padre e un figlio che riscopriranno il senso della famiglia dopo mille avventure. Il punto di partenza è la scomparsa di Nemo, un pesciolino disubbidente (ma sarebbe meglio dire intraprendente) che viene pescato e messo in un acquario di un dentista di Sidney. Suo padre disperato decide di andarlo a riprendere ma per farlo deve attraversare l’oceano per mille miglia… che scopriremo pieno d’insidie. Accompagnato da Dory, una chiacchierona con il pregio della memoria corta i due faranno incontri pericolosi e sempre più strani fino a che un pellicano risolverà la situazione. Essendo in casa Disney l’happy end è scontato, quello che non è scontato è come il mondo sottomarino sia molto simile a quello umano, che, anzi non sembra accorgersi che il mondo animale sia capace di pensare e soffrire.
Visto sotto quest’ottica, questo ‘wateroad movie’, diventa un manifesto sull’animalismo di entrambe le razze. Ma dato che il mare (e le sue creature) sono il motore della storia, non si contano le battute da vera commedia intelligente e brillante: spassosissime le integerrime soluzioni dei tre squali che si dibattono per essere i migliori mangiacristiani senza cervello. In questo contesto la cattiveria (ma non solo quella dei pescicane) è una metafora di gran lunga più sottile di qualsiasi altra commedia “umana”. Narrato su due livelli narrativi distinti (le vicende di Nemo e la cricca di compagni prigionieri come lui nell’acquario sono alternate dalle avventure marine del padre), Alla Ricerca di Nemo trova una messa in scena alternativa alle solite lineari “storielle” per bambini. Il film di Andrew Stanton e Lee Unkrich (entrambi autori di Toy Story, A Bug’s Life e Monsters & Co.) invece è una sorta di capolavoro per adulti i quali si ritrovano a fare i conti con il loro presente di genitori. Non per nulla il rapporto tra padre e figlio (che al contrario del cerbiatto orfano Bambi, è solo un ragazzaccio bramoso di scoprire il mondo che lo circonda) sottolinea certe paure e apprensioni proprie di quei padri (in questo caso dei genitori in genere) che debbono contare sulle loro forze per l’educazione della propria genia.
di Roberto Leggio