Prendere una pièce teatrale francese, già trasformata in un buon film, per raccontare l’Italia contemporanea. Era questa l’idea di Francesca Archibugi quando, con Francesco Piccolo, ha messo mano alla sceneggiatura che ha dato vita al suo undicesimo film, Il nome del figlio, nelle sale dal 22 gennaio.
La regista romana ha scelto cinque attori perfetti per i ruoli intorno ai quali ruota tutta la pellicola. Alessandro Gassman, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, Rocco Papaleo, Micaela Ramazzotti hanno infatti dato il meglio della loro vena creativa. Quest’ultima ha persino concesso all’obiettivo alcune fasi della sua gravidanza e gli struggenti attimi del vero parto della sua secondogenita Anna, con l’avallo del marito Paolo Virzì, coproduttore del film con Indiana, Lucky Red, Rai Cinema, Sky.
Teatro della vicenda la solita cena tra amici d’infanzia, a casa dell’intellettuale Sandro (Lo Cascio) e della moglie Betta (Golino) nella periferia trandy della capitale. L’estroverso, rampante e burlone Paolo (Gassman), fratello di Betta, in attesa del primo figlio dalla moglie Simona (Ramazzotti), bella e coatta scrittrice sulla cresta dell’onda, sfida i presenti annunciando il nome del nascituro che provocherà una feroce discussione. Vano il tentativo di placare gli animi dell’amico Claudio (Papaleo) che invece sconvolgerà ancor più il gruppo rivelando un suo segreto amoroso. Solo la nascita del figlio segnerà una tregua tra i cinque amici.
Una commedia piacevole, intelligente, con note malinconiche, a volte drammatiche. Un film corale in cui però ognuno ha il suo assolo. La sceneggiatura scritta meticolosamente per rendere lo scontro alla pari. Della commedia francese Archibugi e Piccolo hanno usato il percorso narrativo come mezzo di trasporto per dar vita a personaggi molto italiani (con l’aggiunta rispetto all’originale di alcuni flash back sulla loro infanzia insieme), per sottolinearne le divisioni socio-politico-culturali che hanno contribuito alla disfatta del nostro Paese in quest’ultimo ventennio. Raccontando, senza giudicare.
L’Italia politica è nella matrice dei personaggi, per metterne a fuoco luci e contrasti, per raccontare un sentimento diffuso. Gassman (quasi a ricalcare le orme cinematografiche dell’augusto padre) interpreta il solito furbetto arrivista e superficiale, col rolex e il suv parcheggiato nel posto invalidi, che rappresenta una fetta molto ampia di nostri connazionali, uno dei mali primari che affliggono la nostra penisola. Lo Cascio è l’intellettuale fragile, assente, frustrato e un po’ alienato che si vendica chiudendosi invece di ammettere la sua sconfitta. Golino è la moglie affettuosa e remissiva, che cerca l’armonia. Una donna incompiuta, coi suoi rancori accantonati da tempo, sempre ai margini della conversazione. Papaleo è l’amico “normale”, apparentemente appagato dai suoi successi artistici e invece sempre abilmente in bilico tra autenticità e ambiguità. Ramazzotti è una donna a più strati, che da scemetta diventa tigre e poi si scopre talentuosa.
Una storia tenera e ruvida, che appartiene a tutti noi, che vuole ridare identità al cinema italiano, ultimamente tanto bistrattato, e riportarlo da protagonista nelle sale.