Il regista Stephen Friers non sapeva nulla di ciclismo prima di girare The Program, nelle nostre sale dall’8 ottobre, interpretato da Ben Foster. Un thriller che conquisterà non solo gli amanti delle due ruote, mettendo in luce con estremo realismo la vera storia del campione mondiale statunitense Lance Armstrong, vincitore grazie al doping negli anni ’90 di sette Tour de France.
Una recensione del libro di Tyler Hamilton, che ha corso al fianco di Armstrong e si è dopato con lui, ha spinto il regista di The Queen ad approfondire il tema, senza però voler incontrare il vero protagonista della storia. “Non sarebbe servito a nulla, Armstrong è uno che dice bugie, che ha costruito sulla menzogna la parte più importante della sua carriera ‘rubando’ un titolo per sette anni. Negare tutto era la parola d’ordine” spiega Friers , presentando il film a Roma al fianco del protagonista.
L’attore, al contrario, prima di girare ha cercato di contattare il corridore. “Volevo raccogliere più notizie possibile – confida – ma lui non ha voluto saperne di parlare con me”. In sei settimane è stata dura per lui imparare ad andare per la prima volta in bicicletta. “Ho pure seguito, sotto stretto controllo medico, un programma di doping, – confessa Foster -per meglio capire il mondo che dovevo rappresentare”.
Guarito dal cancro dopo una lunga battaglia, dedito a generose attività benefiche, il ciclista statunitense ha attirato l’interesse di Frears per la sua diabolica ambiguità, per la mancanza di pentimento. Armstrong pensava che senza doping non si potesse vincere, quindi anche i suoi compagni di squadra dovevano farlo. Con l’aiuto del dottor Ferrari, nell’ambiente chiamato Nosferatu, poi radiato, mise in piedi un articolato programma illegale con l’utilizzo di farmaci per migliorare le prestazioni fisiche. Fino a che l’infaticabile giornalista David Walsh rivelò al mondo uno dei più grandi inganni dei nostri tempi.
“Non sapevo molto del suo privato, volevo raccontare una crime story. Non so se Armstrong abbia visto il film, ma so che tende molto a controllare le persone, non avrebbe gradito The Program così com’è venuto. Nel suo ambiente l’omertà era diffusa, non posso aggiungere altro, ma so che c’era. Viviamo in un’epoca di corruzione dilagante, certe storie sembrano romanzi e invece sono realtà. E poi voi italiani non avete mai sentito parlare di mafia? In passato facevate voi i film sulla corruzione, come Salvatore Giuliano, Le mani sulla città di Rosi, ho imparato da voi a fare questi film”.
“Nel periodo in cui gareggiava Armstrong tutti mentivano – aggiunge Foster -, il film è un atto d’accusa contro una cultura. Siamo stati noi in fondo a creare quei mostri”.