Luc Besson lancia una sfida ai colossi americani dell’animazione. Un confronto che il regista francese ha costruito in cinque anni di intenso lavoro basandosi totalmente sulla sua ambiziosa fantasia, sulla professionalità di 350 tecnici del 3D e spendendo sessanta milioni di euro per creare un progetto che parla esclusivamente europeo. Il risultato è dichiaratamente positivo, dando vita ad una favola senza tempo capace di addolcire la tecnica del digitale con le sfumature di un mondo concreto visto realmente da un altro punto di vista. Arthur nel paese dei Minimei ( tratto dall’omonimo romanzo edito Mondadori) può essere considerata una vittoria schiacciante da molti punti di vista. Forte anche della sua notorietà ( troppa per ottenere i finanziamenti statali), Luc Besson ha radunato intorno al suo successo sponsor e sostenitori economici senza ricorrere in nessun modo a fonti americane. Ha costruito i suoi studios in una zona periferica di Parigi, creando ben 700 posti di lavoro per tecnici provenienti da tutta Europa. Ma, soprattutto, ha cercato di affrancare il vecchio continente da un servilismo produttivo e creativo a vantaggio del colosso americano, dando vita ad una strada alternativa ( i tecnici che lavorano negli studi della Pixar sono al 30% europei). ” Se guardiamo al cinema americano lo vediamo sempre come qualche cosa di irraggiungibile, eppure se non ci mettiamo alla prova mai potremo dire la nostra. In fondo di fronte all’arte siamo tutti uguali.” E se a dirlo è il creatore di film indimenticabili come Leon e Nikita, capaci di conquistare le platee internazionali, non possiamo che credergli. Dunque il dado è tratto, come dicevano gli antichi. Da questo momento e per i prossimi anni ( altri due capitoli della storia sono previsti in uscita per il 2009 e il 2010) Disney, Pixar e DreamWorks non saranno i signori e padroni dell’animazione.
A farsi spazio tra pinguini canterini, orchi e ciuchini arriva il giovane Arthur ( Freddie Highmore), un bambino un po’ solitario affidato alle cure di una nonna malinconica ( Mia Farrow) che, nei colorati campi del Connecticut anni sessanta, scopre l’universo dei Minimei, popolazione incredibilmente piccola. Nel passaggio tra il suo ed il loro mondo per ritrovare un misterioso tesoro nascosto anni prima da un bizzarro nonno esploratore, Arthur metterà alla prova tutta la conoscenza acquisita durante le sue giornate di esplorazione, salvando il delicato popolo dalla distruzione totale. Ma nonostante il grande successo di pubblico ottenuto in Francia fino a questo momento e la curiosità con cui è atteso in altri paesi, questo ambizioso progetto non ha conosciuto sempre giorni felici. Molte le difficoltà che lo hanno accompagnato soprattutto nelle prime fasi. Pur affidandosi all’esperienza di tecnici che fino a quel momento non avevano realizzato un lungometraggio, Besson ha affrontato la solitudine produttiva dei primi anni non rinunciando all’originalità ed all’eccezionalità del suo prodotto. ” Quello che volevo realizzare non era affatto facile. – ammette – Non volevo una semplice animazione in 3D, ma cercavo una fusione tra il mondo reale e quello creato digitalmente. Dunque veri sono i fiori, i prati e l’intero villaggio dei Minimei, per il quale ho fatto costruire 300 case. Creare questo mix in modo armonioso è stato veramente complicato.” Ma Arthur e il popolo dei Minimei colpisce soprattutto per la forte capacità espressiva ed emozionale di cui sono dotati i suoi personaggi digitali. Una particolarità dietro la quale si nasconde un segreto piuttosto complesso e laborioso.
Infatti ad uno storyboard composto di 4000 disegni, segue una pratica insolita capace di mettere le tecniche più avanzate al servizio del cinema inteso come emozione. ” Inizialmente ho girato tutto con degli attori. In questo modo ho potuto cogliere le emozioni e l’essenza dei personaggi. – spiega Besson – Poi ho montato le scene migliori ed ho mandato tutto ai mie tecnici del 3D, i quali hanno lavorato per ben due anni per trarre da questo girato venti milioni d’immagini.” Inoltre la BUF ha creato appositamente per le esigenze di Besson delle migliorie in alcuni software che utilizzavano già. In modo particolare hanno permesso al regista di girare tutto il suo “dummy run” ( il filmato con attori ripresi da numerose cineprese) in piena libertà di movimenti, senza avvalersi della Motion Capture. Dunque un prodotto che porta il segno di una realizzazione attenta e sofisticata di cui Besson, tramite anche la sua casa di produzione Europa (il nome la dice lunga sulle intenzioni produttive), finalmente raccoglie i frutti dopo anni di lavoro solitario. Avvalsosi delle voci di Madonna, Snoop Dogg e David Bowie ( solo per citarne alcune) per la versione inglese, Arthur e il popolo dei Minimei ( presentato all’ultima edizione del FutureFilmFestival) utilizza anche la forza trainante dell’omonimo videogioco prodotto dall’Atari. Realizzato praticamente in concomitanza con il film, il gioco ripropone soprattutto la rocambolesca corsa su di una Ferrari giocattolo modello 250 GTI del 1961 . Un particolare DOC. Jean Todt ha spedito alla volta di Parigi l’originale del ’61, tanto per permettere a Besson una fedele riproduzione della rossa più desiderata.
di Tiziana Morganti