Metrica e linguaggio. In Ballo a tre passi il tempo si scompone, si fa esemplare di molteplicità e ritorna al particolare nella singolarità di realtà locali e identità ben definite. Quattro di queste identità si scoprono in un punto di passaggio, alla scoperta di una dimensione del tutto nuova, affascinante e spaventosa. Un bambino scopre la bellezza del mare, un adulto, cresciuto nel più totale isolamento, scopre le gioie del sesso, una giovane suora conosce la giovialità di una festa di famiglia e un anziano solitario trova la gioia della condivisione solo in punto di morte. Individui accomunati da elementi quali isolamento, meraviglia e linguaggio dei sensi. E proprio il linguaggio si fa caratteristica fondamentale della pellicola di Salvatore Mereu: la parola non arriva allo spettatore, il dialetto non permette la percezione diretta, ma se a parlare sono i sensi, l’istinto, la musica e il canto, questa è pressoché inutile; tutto diventa comunicazione, espressione, eccetto le convenzioni linguistiche, ridotte ai minimi termini.
I personaggi sono svelati nella loro profonda intimità, nel loro imbarazzo, la macchina da presa si sofferma su estenuanti primi piani e su scene di sesso accentuando le abilità espressive sia di Carboni che della Abecassis, i quali superano egregiamente la prova. Le citazioni da cultore neorealista culminano in un finale felliniano di grande effetto che riassume e conclude il senso dell’opera non mancando di commuovere per la delicatezza della figura descritta. Il film è pervaso da un senso di abbandono ai venti del destino, cui nessuno si oppone, eccetto l’autista di un piccolo ‘Ape’ che con la sua musica, il “Ballo a tre passi” appunto, vince l’ineluttabilità della vita, così come le paure di un anziano in punto di morte vengono dileguate dal canto di una donna che intona Cielito lindo. E simbolicamente la musica scaccia le nubi del destino, sussurrando fraseggi di semplicità, di ritorno alle origini, quando le parole non erano necessarie e quando il senso della vita e della morte era nascosto nello sguardo di chi ha ancora qualcosa di cui meravigliarsi.
di Alessio Sperati