Mancano ancora quasi due mesi all’estate, ma già il cinema si prepara all’inevitabile esodo di spettatori verso i lidi marini sfornando prodotti vacanzieri freschi e leggermente frizzanti da gustarsi in sale ben condizionate. Questo Boat Trip, capo-listino delle neonata casa di distribuzione cinematografica E.P. Production, è un film tutto sommato piacevole, che rimanda a quel cinema che un tempo in America riempiva le sale di gente e gli spettatori di giubilo nel vedere bellezze da copertina in bikini districarsi in script pecorecci e demenziali. Alla Porky’s, per intenderci, o se vogliamo alla Vanzina Bros.. Tutto questo è Boat Trip, diretto da uno che co-sceneggiò, tra gli altri, Terapia e pallottole e Kingpin, e che narra le vicissitudini di Jerry (Cuba Gooding Jr.) che, mollato dalla fidanzata che non lo vuole sposare e sull’orlo delle depressione, decide di regalarsi un bel viaggio su una lussuosa nave da crociera assieme al fido amico di “sventura” Nick (Horatio Sanz, già in Road Trip). Immaginate lo sdegno nello scoprire di essere capitati, proprio loro che sono andati in cerca di conquiste femminili, in un crociera per soli gay!
Il resto è puro divertissement senza molte idee ma anche senza molte pretese: gag con la banana, solite battute sul “vizietto”, travestiti, palpatine “mache”, fino a che sulla nave non approda un team di pettorute svedesi naufraghe, capitanate dalla Barbie bionda Victoria Silvestedt, che pensano di sentirsi al sicuro sotto gli occhi poco accorti di tanto omosessuali… tranne due! Nel frattempo Jerry si innamora delle sensuale insegnante di ballo della nave ma non sa come dirle di non essere gay, Nick vedrà suo malgrado incrinarsi qualche “certezza” e la ex di Jerry decide di fare una capatina…Nulla che non si sia già visto: scenari da cartolina che più illustrata non si può, tanti luoghi comuni, equivoci a raffica, inevitabile happy-ending che arriva dopo neanche 90 minuti. La causa pro-gay arretra di cent’anni, e il film appartiene ad un genere che non si fa più perché desueto e snobbato. Ma criticarlo sarebbe come sparare sulla croce rossa, e anzi vi sono tracce di onestà narrativa proprio perché volontariamente macchiettistico. E poi c’è pure l’ex-007 Roger Moore che fa il “provola” e l’accattivante Viviva A. Fox, quella che nell’incipit di Kill Bill viene ammazzata come un cane da Uma Thurman. Un film che è come una bibita: da prendere, sorseggiare con calma e da buttare via. Ma almeno ci ha dissetato.
di Francesco De Belvis