Intenso, coinvolgente, non invasivo ma emozionante Bobby ti conquista a poco a poco senza forzature ed eccessi attraverso dei piccoli, impercettibili passi capaci di condurti quasi inavvertitamente all’immedesimazione che sfocia in una commozione umana, politica e sociale. All’inizio sembra quasi non piacere, scorrere faticosamente verso una meta non ben identificata, ma se ci si lascia travolgere dagli eventi, ascoltare senza forzatamente ricercare un significato ancestrale si comprende non tanto le motivazioni di un film, quanto il significato, le fondamenta di un sogno, un brivido di speranza che percorse e scosse l’America del 1968. Ad Emilio Estevez va il merito, la lucidità storica di non aver dimenticato o sottovalutato un momento, una frazione del passato mai anacronistica, datata, ma straordinariamente attuale attraverso un ritratto che rifugge da qualsiasi enfasi rappresentativa, ma è a Bob Kennedy che va tutto il merito di una magia ripetuta o forse mai svanita. Attraverso la ricostruzione di un microcosmo di singole ed indipendenti individualità prende corpo una universalità che il caso ha voluto trasformare in storia. Oliver Stone nel suo ultimo World Trade Centre ha tentato di utilizzare la stessa tecnica, senza riuscire ad ottenere il medesimo quadro d’insieme. L’America di Stone non si percepisce e non la si comprende nascosta dietro un’ enfasi nazionalistica da due soldi, mentre forte e chiara sale la voce di un paese che sognò di essere migliore per una breve stagione e che vide sfumare troppo velocemente le sue aspettative. Inutile non ammetterlo, Gli Stati Uniti di Estevez conquistano e piacciono molto più onestamente. Ci troviamo di fronte ad una mancanza di trionfalismo, ad una vibrazione d’entusiasmo ed alla silenziosa accettazione di un lutto di cui se ne portano ancora oggi i segni.
Ma sorvolando sul significato puramente politico, non possiamo negare che a fare la differenza più che mai in questo caso non sono le appartenenze ma la semplice ed essenziale umanità. Nelle circoscritte ambientazioni dell’ Ambassador, Estevez muove, interseca una nell’altra le diverse umanità, il cui destino, in un modo o nell’altro è legato alla presenza di Bob Kennedy sulla ribalta politica. Senza mai abbandonare nessuno di questi singoli emisferi il regista conduce, costruisce una narrazione che, apparentemente sembra identificarsi come altro rispetto agli avvenimenti di cronaca, ma lentamente si avvicina ad essa divenendone parte integrante, spettatore o co-protagonista. Ed è a questo punto che sale l’emozione e la partecipazione. Dopo averci mostrato i volti delle grandi star coinvolte nel progetto come Demi Moore, AnthonyHopkins, Sharon Stone e la giovane Lindasy Loan, tanto per citarne alcuni, Estevez decide di non rappresentare il più rappresentabile se non attraverso se stesso. Seguendo un pò la linea scelta da George Clooney per Good night and Good Luck, secondo il quale la storia o la realtà non può che mostrare il suo volto originale se desidera essere credibile e non altro, BobKennedy non appare mai se non attraverso l’utilizzo d’immagini di repertorio che non producono alcun distacco narrativo, ma accompagnano dolcemente nell’entusiasmo di una notte interrotta dall’incredulità. Nelle immagini finali del salone, attraverso un montaggio scomposto tra finzione e realtà, viene fotografato per l’ultima volta Kennedy e la sua America. Nei minuti finali in cui si alzano le parole del discorso che il senatore pronunciò in Ohio nell’Aprile del 1968 e la camera scorre lungo i volti di coloro che videro in una sola notte svanire le proprie speranze, chiara e netta si avverte la nostalgia per un mondo che non fu mai.
L’America del 1968 viveva il caos sanguinario del Vietnam, consacrava Il laureato in un cult movie ed impazziva per la giovane speranza personificata da Bob Kennedy. Un paese, dunque, che nonostante registrasse il più alto numero di vittime tra i suoi giovani, aveva ritrovato un entusiasmo per il futuro, una speranza di miglioramento che venne definitivamente distrutta il 4 giugno 1968 nelle cucine dell’Hotel Ambassador. Dopo aver vinto le primarie in California contro il senatore McCarthy , Robert Kennedy, fratello del Presidente degli Stati Uniti J.F.K. assassinato nel 1963 a Dallas, viene ucciso con alcuni colpi di pistola nelle cucine dell’albergo dove si era recato per salutare tutti gli inservienti suoi sostenitori. Emilio Estevez, dopo alcuni anni di riflessione e ricerche porta sullo schermo ed in Concorso alla 63.esima edizione del Festival di Venezia, gli avvenimenti di quel giorno, capaci non solo di segnare delle amare pagine di storia, ma soprattutto di cambiare in modo definitivo il sentore di un intero paese. “ Mi sento un uomo molto fortunato – esordisce Estevez – in questi anni ho lavorato esattamente a ciò che mi interessava. Portare sullo schermo la storia di Bobby e della sua influenza positiva sull’intero paese e sulla nuova generazione era una cosa importantissima da fare. Il momento storico che stiamo vivendo ora non è molto diverso da quello della fine degli anni sessanta. Questo più che mai sembra essere il momento più adatto per far sentire nuovamente la sua voce, una voce che fu capace di rivolgersi all’uomo qualunque, al piccolo ed all’oppresso che aveva bisogno di tutta la sua attenzione.” Sono trascorsi molti anni dalla notte del 4 luglio eppure per Estevezcontinua a rappresentare un colpo fatale che avrebbe fermato il cammino verso l’idealismo e l’ottimismo di una generazione di americani, aprendo la strada al mondo attuale molto più cupo e duro dominato dal cinismo, dall’apatia e dalla privazione dei diritti civili. A sostenere questo progetto con calore emozionale tutto un cast davvero d’eccezione che vede riuniti alcuni dei nomi più rappresentativi del panorama hollywoodiano (Harry Belafonte, Nick Cannon, Laurence Fishburne, Brian Geraghty, HeaterGraham, Anthony Hopkins, Helen Hunt, Joshua Jackson, Lindsay Loan, Martin Sheen, Sharon Stone, Christian Slatered Elija Wood) .
A dimostrare che oltre alla fama ed il successo ci sono altri valori a strutturare la vita di un uomo, ognuna di queste star ha accettato di lavorare al minimo del budget pur di partecipare ad un progetto che li avrebbe fatti sentire al centro di un momento irripetibile. “ Ho desiderato realizzare questo film, fare la mia parte in un opera corale come questa con grande passione. – dichiara la Loan nelle nuove vesti di attrice più matura – Il fervore e l’impegno di Emilio mi hanno fatto decidere in proposito. Ma soprattutto volevo provare a sentire nuove cose. Tutti eravamo li per raccontare questa storia capace di evocare ricordi incredibili”. Ma se per la giovane Lindsayla figura ed il carisma di Bob Kennedy fanno parte di un evento storico riconducibile a racconti ed immagini di repertorio, per il regista ha rappresentato una realtà personale e familiare. “ Avevo cinque anni quando nel 1967 ho incontrato Bob con mio padre. Ricordo che mi strinse la mano e posso dire con tutta onestà che la genesi, il viaggio di questo film inizia proprio con quel primo ed immediato innamoramento.” Eppure, nonostante l’entusiasmo e la dedizione, la sceneggiatura ha subito un arresto di un anno durante il quale il regista non è riuscito a proseguire nella scrittura oltre la trentesima pagina. Un blocco dello scrittore scomparso nel momento stesso in cui incontrò, del tutto casualmente, una donna presente la sera dell’assassinio come volontaria alla campagna elettorale di Kennedy, e che aveva sposato un ragazzo per evitare che fosse spedito in Vietnam. “La vicenda di quella donna mi ha aiutato moltissimo a creare l’ossatura della storia e a dargli un cuore, dopodichè il resto è venuto da solo.” Nonostante sia dotato di una attualità spaventosa e sorprendente, Bobby non è assolutamente un attacco all’attuale amministrazione ma si colloca coma un atto d’amore e di speranza perché, come ha dichiarato lo stesso Estevez “dopo che Bob Kennedy venne ucciso il paese visse una sorta di perdita dell’innocenza accompagnata da una tragica perdita di passione e da un sentimento di impotenza che purtroppo resiste fino ad oggi. Siamo divenuti cinici, dobbiamo ritrovare noi stessi e ciò che può ispirare le nostre vite. Ecco, Bobbyera la nostra ispirazione.”
di Tiziana Morganti