Nigel Cole aveva dimostrato già ne “L’erba di Grace” di avere più a cuore il mettersi a servizio di uno script spumeggiante e di preoccuparsi meno, invece, di stilemi o barocchismi di regia arzigogolati. La battuta fulminante, ironica, venata di grottesco è tipica del mondo anglosassone; in termini tecnici definita “punch line” serve soprattutto in questa pellicola per togliere drammaticità a situazioni ingestibili, che sfuggono alla normale routine quotidiana. La morte del marito di Annie è l’espediente per cercare di trovare fondi al fine di migliorare le attrezzature ospedaliere e le strutture di ospitalità dell’ospedale di un piccolo paese dello Yorkshire. Le donne del posto fanno comunella, lo stato vedovile di una signora ancora piacente dà la stura per commenti salaci tra una tazza di tè e una insalata in allegria. Dietro a questa apparenza gioviale, però, il regista tiene a sottolineare la differenza tra la borghesia inglese, intrisa tuttora di ipocriti bigottismi e di piccinerie e il mondo low class del proletariato, vitale, arruffone, attraversato da una sanissima voglia di cambiare una ‘forma mentis’ dura a morire. Tratto da una storia vera, il film sembra essere il riscatto di signore attempate che posando seminude per un calendario ironico e un poco sporcaccione si ritrovano per caso nell’occhio del ciclone, per divenire caso mediatico.
Di passaggio a Roma hanno dichiarato che la trasferta hollywoodiana aveva dell’incredibile: talk show, stanze d’albergo sontuose e pacchiane, il tentativo di strumentalizzare la loro piccola impresa per occhiute strategie di marketing. Nel lungometraggio, Nigel Cole privilegia, in ogni caso, l’understatement, la complicità amicale, avendo la consapevolezza che gli spettatori siano già da tempo in grado di capire quanto la televisione e i media cannibalizzino ogni evento “straordinario” della gente comune (e noi ne sappiamo qualcosa, giacché i palinsesti televisivi italiani sono per due terzi organizzati sulla esibizione narcisistica di sentimenti privati, spesso abilmente taroccati). Come valore aggiunto in Calendar Girls, a parte il tipico umorismo britannico, c’è lo spaccato sociale, la critica sottile a Eurolandia, persino un accenno alla sterile ottusità di troppe associazione di beneficenza troppo preoccupate di non sfigurare agli occhi di una sterile monarchia da copertina e meno a reperire fondi per cause di attualissima urgenza. Piacerà alle donne che si prendono in giro, quelle che se ne fregano di indossare calze smagliate o hanno sul viso un trucco un po’ cosi, alla carlona e le bellone sono avvertite. I maschietti si annoieranno, forse, ma se anche fosse, dormire saporitamente in una sala cinematografica non è uno dei pochi piaceri che si hanno ancora a disposizione?