Tacciato a torto in passato, di eccessivo buonismo bucolico e di un retaggio cattolico sempre presente (cade continuamente a vuoto, la banale e verissima considerazione di Benedetto Croce per cui non possiamo, noi italiani, non dirci cristiani?), il Maestro Ermanno Olmi ha, da alcuni anni, ricercato nell’iconografia e nella dimensione favolistica la sua idea di Cinema per il nuovo millennio. Messo al bando il dolente realismo dei primi lungometraggi, splendide cronache in bianco e nero di giovani alla ricerca del proprio posto nel mondo nei primi anni Sessanta (Il posto, appunto, del 1961, per fare un esempio, è un capolavoro che andrebbe “sdoganato” e rimesso nelle sale) e la rappresentazione di un mondo contadino ormai irrecuperabile in quanto a obiettività storica (e anche, nel 1978, la Palma d’Oro a Cannes per L’albero degli zoccoli scatenò una bagarre infinita e il regista venne etichettato solennemente come un retrogrado che aveva nostalgia di contadini ignoranti e bigotti), non restava altro che immergersi in storie lontanissime, rarefatte, nei quadri in movimento e nelle erotiche epifanie dei suoi ultimi film, prima Il mestiere delle armi, ora Cantando dietro i paraventi. Favola allegorica che trae spunto dall’opera del poeta cinese Yuentsze Yunglun, dedicata alla piratessa Ching e pubblicata a Canton nel 1830, la pellicola si snoda tra teatro narrato e sognato e sequenze di battaglie, arrembaggi con al centro una donna esacerbata, in lotta contro il mondo per un lutto subìto, che sa però perdonare gli altri e soprattutto se stessa. Non ci sono scene cruente, ma la violenza o i momenti di quiete arrivano improvvisi come pure la malinconia e lo scoramento. La fotografia di Fabio Olmi, stupefacente, è al contempo fluida e statica e anche i due attori protagonisti (Bud Spencer – Carlo Pedersoli ha trovato finalmente il modo per uscire dal clichè spaghetti western, dandosi una immagine di splendido e imaginifico teatrante, di “wellesiana” memoria) si adattano magistralmente a una atmosfera sospesa. Olmi lancia messaggi attualissimi contro la guerra e i corruttori di anime, ma le derive didascaliche non inficiano cento minuti di puro incanto.
di Vincenzo Mazzaccaro