Sergio Castellitto conclude (forse) la sua carriera di regista sviscerando sentimenti sopiti nel film Il materiale emotivo, nelle sale dal 7 ottobre con 01 Distribution. Una storia intima, poetica, molto teatrale, che Castellitto ha diretto e interpretato con Bérénice Bejo e Matilda De Angelis e che mette a fuoco l’isolamento che circonda, talvolta per scelta, gli esseri umani. L’attore definisce il film soave, perché non c’è nulla di gridato intorno a questa antica libreria che si affaccia su una tipica piazzetta francese magistralmente riprodotte nel mitico Studio 5 felliniano di Cinecittà dove ha preso vita tutta la pellicola.
Per questo suo settimo film da regista, che potrebbe essere l’ultimo (passa volentieri il testimone al figlio Pietro), ha scelto la sceneggiatura di Il drago a forma di nuvola di Ettore Scola, Furio Scarpelli e Silvia Scola e ne ha affidata la riscrittura alle sapienti mani della moglie Margaret Mazzantini, che ha colto il nocciolo della vicenda, scegliendo per alcuni cammei il rapper Clementino, Sandra Milo, Alex Lutz.
Da ex allievo, poi amico e attore di Scola, voleva essere lui a realizzare la sua ultima idea che aveva qualcosa di non concluso. La storia ruota tutta intorno a lui, Vincenzo, un mite libraio emotivamente e concretamente “intrappolato” tra le mura della sua antica libreria parigina e la figlia paraplegica Albertine (De Angelis) ammutolita dopo un incidente, che si lascia vivere al piano superiore. La vita di Vincenzo scorre tranquilla, tra l’amore per la figlia e quello per i libri fino all’improvvisa apparizione di Yolande (Bejo), una scombinata ed esuberante attricetta che fa irruzione nel negozio. Affascinato dalla forza vitale della donna, lui riscopre emozioni dimenticate da tempo, che lo porteranno a interrogarsi sul suo modo malinconico e sospeso di affrontare la vita.
“Non è un melodramma, non ci sono tinte forti, anche se tutti sono prigionieri dei loro spazi- spiega Castellitto – come noi oggi per via del Covid. La libreria, la piazza, la soffitta, l’acquario, la sedia a rotelle sono una sorta di carceri in cui sono rinchiusi i protagonisti. La metafora del teatro apre, sviluppa e chiude il film, con il sipario che si solleva e poi cala sul finale. Lui è felice ma prigioniero dei suoi libri perché, sostiene, l’attualità uccide, la letteratura ci rende liberi. Ciò che è rappresentato nella parola scritta ci catapulta nella storia”.
Oltre alla fotografia, la musica ha contraddistinto il racconto. “Alcuni brani del romanticismo francese hanno influenzato la scrittura- ammette-, la musica ti dice le cose in un altro modo”.
Sembra davvero intenzionato a mollare la regia: “Ho girato un centinaio di film, non devo più dimostrare niente, mi propongono molti progetti interessanti, fare solo l’attore non è una rinuncia. Mi piace recitare raccontando storie, la macchina da presa la passo volentieri a mio figlio”.