Al suo secondo lungometraggio dopo il sorprendente Il gusto degli altri, Agnès Jaoui si conferma una sceneggiatrice coi fiocchi in grado di mettere in scena una commedia drammatica incentrata sul ruolo del potere nelle relazioni interpersonali. Sempre scrivendo con il sodale/compagno Jean-Pierre Bacri, il film, nonostante il tema, è fin troppo tenero nei confronti delle persone e dell’ambiente editorial-letterario, quasi che la cineasta/attrice tenga più ad assomigliare ad un Woody Allen in gonnella, con un tocco leggero e tenersi distante dalla corrosività e dal cinismo a “tavolino” de Le invasioni barbariche di Denys Arcand (addirittura c’è una frase ripresa a piè pari da una pellicola di Allen, omaggio volontario o innocua gaffe?). Senza la maestria per azzardare uno stile audace e realmente pulsante ed abbarbicata al suo cinema-teatro, la Jaoui si inerpica in un territorio che pare conoscere benissimo, ossia l’osservazione entomologica dei rapporti famigliari e sociali. Una grassottella ventenne, figlia di un egocentrico scrittore di successo si strugge per l’indifferenza paterna, una coppia di artisti si legano a doppio filo allo stesso uomo, perdendo dignità e decoro. Nessuno che come Bartleby lo scrivano di Melville abbia la forza, di fronte al potere di un uomo in carriera di dire: «Preferirei non farlo», di dire “no” alle lusinghe mondane e a feste indecorose, zeppe di lacchè.
La mediocrità del mondo non diventa, però, mai accusa definita, concreta, politica. La Jaoui resta nei confini del “carino”, del dialogo brillante, quasi passeggiando nel vuoto e la coralità del film sembra l’unica condizione per dare la stura ad uno sceneggiatura ritenuta la migliore al Festival di Cannes 2004. Ma non sarà che dietro il compiacimento e un moralismo trattenuto manchi proprio una figura a tutto tondo? I personaggi si parlano addosso, ognuno guarda il proprio ombelico, poi passa a quello di un altro e lo trova più curioso (o brutto o volgare) del suo. Questa magnifica arte della maldicenza non sconfina mai nel disprezzo, Bacri & Jaoui si tengono lontani da spezzare il tono da commedia amara, ma sorridere della meschinità altrui innesca quel triste meccanismo che fa sentire più bravo ed intelligente lo spettatore in sala e questo non va bene (esteticamente che “gusto” c’è?). Diciamo la verità, nemmeno la simpatica “cicciona” bisognosa di amore è veramente amabile, e anche sul suo quasi fidanzato avremmo delle riserve. Cosa resta in una simile operazione? La prevedibilità, la fragilità della confezione e la ovvia considerazione che non si vive solo di Parole, parole, parole…(chiosa finale, ma anche film della coppia diretto da Alain Resnais, nel 1997).
di Vincenzo Mazzaccaro