In scena al Teatro Sala Umberto di Roma dal 17 al 22 dicembre
Il racconto dell’esodo biblico degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, parte da un luogo simbolo: il Magazzino 18 del Porto Vecchio di Trieste. Simone Cristicchi lo ricorda nel suo toccante spettacolo Magazzino 18 – L’esodo degli italiani cancellati dalla storia.
«E pensare che per cinque anni, nel tragitto che l’autobus 765 faceva per portarmi al Liceo – ricorda il cantautore romano – c’era una fermata vicino a una specie di targa con su scritto Quartiere Giuliano Dalmata. Ogni volta che ci passavo davanti leggevo quel cartello e nella mia ignoranza mi chiedevo: ma questo signor Giuliano Dalmata chi era?». Furono quasi 350 mila le persone che, all’ indomani del trattato di pace del 1947, abbandonati i propri beni e imballata la loro vita, preferirono avventurarsi verso un’Italia disastrata, affamata e diffidente, piuttosto che restare estranei nella Jugoslavia di Tito, una terra di violenze e soprusi che non riconoscevano più. Una storia ancora poco conosciuta, volutamente rimossa, forse perché scomoda.
Nello spettacolo, Cristicchi impersona un umile archivista romano, spaesato e ignorante, che viene inviato dal ministero degli Interni a Trieste per fare l’inventario dell’enorme catasta di masserizie abbandonate e stipate alla rinfusa. Oggetti marchiati da nomi e numeri, che raccontano la tragedia di un popolo sradicato dalla propria terra. Sedie, armadi, specchiere, cassapanche, attrezzi da lavoro, libri, ritratti, quaderni di scuola, fotografie in bianco e nero. Oggetti che sembrano essere in attesa di un fantasma che li venga a prendere, perché capaci di evocare direttamente la persona cui sono appartenuti. Il giovane protagonista ne riporta alla luce la vita che vi si nasconde, scoprendone gradualmente l’esistenza, narrando in maniera cruda e schietta una delle vicende meno raccontate della storia d’Italia.
Simone Cristicchi, colpito da questa scarsamente frequentata pagina della nostra storia, ha deciso di ripercorrerla in un testo che prende il titolo proprio da quel luogo nel Porto Vecchio di Trieste, dove gli esuli, senza casa e spesso prossimi ad affrontare lunghi periodi in campo profughi o estenuanti viaggi verso lontane mete nel mondo, lasciavano le loro proprietà, in attesa di poterne in futuro rientrare in possesso: il Magazzino 18.
Coadiuvato nella scrittura da Jan Bernas e diretto da Antonio Calenda, il cantautore partirà proprio da quegli oggetti privati, ancora conservati al Porto di Trieste, per riportare alla luce ogni vita che vi si nasconde, passando dall’una all’altra cambiando registri vocali, costumi, atmosfere musicali, dando vita all’esule da Pola,il bambino di un campo profughi, alla donna “rimasta” che scelse di non partire, al monfalconese che decide di andare in Jugoslavia, al prigioniero del lager comunista di Goli Otok. Una sorta di “Musical-Civile” in cui le testimonianze reali e le canzoni inedite sul tema, eseguite dal vivo dall’autore, colmano il silenzio di una pagina strappata dai libri di Storia.