Film di toccante semplicità, il primo lungometraggio di finzione firmato dalla documentarista Julie Bertuccelli, tratta dell’assenza e della menzogna: quelle di Otar, georgiano, scappato da Tbilissi per farsi una posizione economica a Parigi, orgoglio e speranza della sua vecchia madre, Eka, rimasta in patria con la figlia Marina e la nipote Ada. In Georgia, il postcomunismo ha portato solo una “pesante” libertà che le generazioni di mezzo e alcuni anziani un poco sprovveduti non sanno assolutamente gestire, le invocazioni di Eka ai benefici burocratici dello statalismo sono ironici e venati di un inesistente rimpianto (Stalin come zimbello di una vita bloccata e, dunque, oscenamente deresponsabilizzata), ma l’acqua è razionata, la figlia che era ingegnere deve barcamenarsi con un mercatino di fortuna, troppo stanca per ricominciare a sperare. La morte di Otar e le finte lettere scritte alla madre proprio da Marina, con la complicità della figlia, sono un raro esercizio di funambolismo, dove la Menzogna si impone per continuare a vivere…
Su questa sceneggiatura ispirata da una storia vera, è stato possibile tessere diversi canovacci narrativi, dal tono “bucolico-malinconico” alla drammatizzazione strappalacrime, ma la cineasta ha trovato una giusta via di mezzo, paradossalmente, in un contesto intessuto di menzogne, attraverso l’esercizio della sincerità e dell’onestà affettiva. La mdp esplora molto da vicino il viso delle tre bravissime attrici, i reali rapporti tra le tre donne si rivelano in comportamenti minimi, come la fetta di torta che Marina assaggia con la forchetta o la disperata tranquillità di Eka, che, arrivata a Parigi, scopre che il figlio è morto per un incidente nel cantiere in cui lavorava, ma non lascia trapelare niente e addirittura sembra contenta che Ada rimanga nella capitale francese per iniziare un nuovo percorso esistenziale. L’esordiente Bertuccelli che ha lavorato a lungo come assistente di Kieslowski, Tavernier e ha scoperto la Georgia attraverso lo sguardo e gli insegnamenti di Otar Iosseliani, non solo si è presa la soddisfazione di vincere il Gran Premio della Settimana della Critica a Cannes 2003, soprattutto coniuga in modo sorprendente la sua passione per il reale con la finzione di personaggi alla ricerca di un autore. Chapeau.
di Vincenzo Mazzaccaro