Il regista de I diari della motocicletta Walter Salles traduce per l’Occidente Honogurai mizu no soko kara – Dal profondo dell’acqua torbida un racconto di Koji Suzuki già reso in pellicola da Hideo Nakata (i due sono l’autore e il regista della saga The Ring). Ne diventa protagonista il premio Oscar Jennifer Connelly nel ruolo di madre e moglie in fase di divorzio. Dahlia e Ceci, madre e figlia, sono su un treno metropolitano che le sta portando alla loro nuova vita, in un quartiere popolare di New York. Il cielo plumbeo rispecchia l’atmosfera di quella architettura opprimente che a breve le imprigionerà. Il loro appartamento rivela presto infiltrazioni d’acqua attraverso le pareti e Dahlia dovrà spesso rivolgersi al mefistofelico custode dello stabile (Pete Postlethwaite). Le progressive rivelazioni sul passato misterioso di Dahlia si intersecano con strani racconti sull’appartamento del piano di sopra, da dove cola quell’inquietante acqua scura. Qui Salles viaggia lontano dall’originale e la bambina scomparsa che gioca con l’ascensore dello stabile c’è ma non si vede; si percepiscono invece i “giorni dell’abbandono” di mamma Jennifer senza un uomo accanto e in brevi istanti le paure prendono forme inconsuete di macchie scure.
Il regista di Central do Brasil, surclassato dal nostro Benigni agli Oscar di sei anni fa, si affida per l’adattamento dell’horror nipponico al talento della sua protagonista e ad un trio maschile ben assortito formato da John C. Reilly, Tim Roth e Pete Postlethwaite. Allo splatter viene preferita una certa psicologia di fondo espansa all’esterno quel tanto che basta a mantenere un grado di tensione non estremo ma costante, reso tale anche dalla grigia fotografia di Alfonso Beato e dalle musiche surreali di Angelo Badalamenti. Il gradimento verso questo film varia dalle aspettative di chi lo guarda: se si cerca un horror che spaventi è meglio rivolgersi altrove – The Exorcism of Emily Rose è un esempio – se si cerca la vista del sangue basta attendere Wolf Creek, qui siamo in prospettiva “il mostro è dentro” e sotto tale luce, molto dark, riconosciamo i tratti di un’ introspezione lucida e raffinata. Questo film non è il Dark Water di Nakata e non è neanche il Rosemary’s Baby cui sembra trarre una lontana ispirazione. È l’esordio americano di un talentuoso cineasta che avrà sicuramente molto da dire in futuro: qui ha svolto un sapiente e fantasioso lavoro d’ufficio.
di Alessio Sperati