Un esempio di film non da subire ma da risolvere come un rompicapo, come la complicata mente di un adolescente in piena fase di crescita, quando gli dei onnipotenti prendono forme improbabili. Donnie Darko non è un film politico ma parla di politica, non è uno sci-fi pur basandosi su concetti fantascientifici, non è un documentario sociale ma fotografa perfettamente la realtà in cui è ambientato. La prima opera di Richard Kelly è un labirinto del pensiero, un teorema dell’immagine, o un’opera d’arte in cui è perfettamente riconoscibile non solo l’intenzione dell’autore, ma la sua stessa anima. La storia si svolge nel pieno degli anni Ottanta, durante l’infanzia del regista, in una piccola cittadina di provincia della California che diventa, per centoventi minuti, il polo di attrazione dell’universo. Flussi temporali e motori di jet cadono sul mondo di Donnie, perché qualcosa cambi e perché sia lui stesso a farla cambiare. È normale altresì che in un’opera d’arte un autore porti tutto il suo background: aspettiamoci quindi tanta musica, dai Tears for Fears agli INXS, dai Duran Duran ai Joy Division, e tanto cinema, da E.T. a Magnolia, da L’attimo fuggente a Ritorno al futuro con l’insano e psicotico design visivo di Terry Gilliam, uno degli idoli registici di Kelly. Il delirio di onnipotenza di Donnie Darko si identifica con quello del regista nel suo grande atto di creatore, quello di rendere reale un mondo fittizio come quello della cinematografia.
I paradossi retorici che attraversano il film di Kelly si basano su concetti relativistici. Se considerassimo la differenza di propagazione della luce di una stella ed il suo arrivo al nostro occhio (la velocità della luce) scopriremmo la possibilità di osservare lo splendore di una stella già morta da molti anni. In quest’ottica possiamo considerare l’esistenza di universi paralleli in cui il nostro mondo non è “esattamente” come lo conosciamo. Ed ancora: Donnie riceve una grande verità e ne diviene depositario; tale conoscenza lo rende unico, diverso, “folle” agli occhi di chi non è in grado di comprenderlo, ma sicuramente indispensabile. Tale sapienza lo rende un “angelo” (angelus = messaggero), un predicatore (nel senso di chi anticipa una verità: pre-dico) un’entità che possiede una conoscenza precursiva e che dunque porta in sé una parte di futuro: in tal senso diventa esso stesso un paradosso temporale. Donnie in qualche modo rompe i cardini del definito, come testimone di una “follia creativa” diventa quindi inadatto ai tempi che lui vive. Se il termine precursore è assimilabile da vicino a quello di genio, in quanto distruttore di certezze e barriere di pensiero, additato dai conservatori e bandito dai “benpensanti”, lui diviene il Dio Universale, quel supremo paradosso del pensiero che unisce nella sua morte il dolore della perdita e la speranza del rinnovamento. Diviene il solo ed unico uomo in un mondo di fantasmi.
di Alessio Sperati