Viaggiare in perfetta solitudine accompagnati solamente dall’assordante vocio dei propri pensieri e da una musica che li placa o li incita a seconda del ritmo o dell’atmosfera, può rappresentare un cammino catartico. Se poi tutto questo “on the road” porta a scoprire il volto più umano e meno contorto degli Stati Uniti con una colonna sonora costruita ad arte da Cameron Crowe, si può comprendere come un semplice “andare” possa trasformarsi in un vero e proprio cammino di scoperta e trasformazione del sé. Certo riflessioni, mutamenti, sconcerto e sconforto possono apparire come elementi insoliti da introdurre all’interno di una commedia, eppure Elizabethtown le comprende tutte con straordinaria naturalezza. Il fatto è che questa atmosfera sempre in bilico tra consapevolezza del dolore e la conoscenza della felicità dona all’intera vicenda una gamma più ampia di sfumature, permettendo all’intreccio narrativo ed all’ironia stessa di non essere mai scontati. È pur vero che nella vicenda di Drew, giovane e rampante disegnatore di calzature sportive in balia del suo primo flop professionale costretto a riscoprire la vita stessa a causa dell’improvvisa morte del padre e grazie alla conoscenza del suo “angelo biondo” dall’irrefrenabile ottimismo si possono rintracciare degli elementi tipici della cinematografia di Crowe, ma in questo caso tutto sembra animarsi di un nuovo significato esaltato e rappresentato da un mondo di contorno così ben delineato nel tipico chiassoso calore della provincia americana degli stati del Sud. Lontano dall’esplosività e dall’intemperanza che caratterizzò il ruolo di Tom Cruise in Jerry Maguire, Orlando Bloom si compone di una certa dolce arrendevolezza nei confronti degli eventi, di una malinconica e stupita ironia alla Jack Lemmon, mentre Kirsten Dunst riveste uno dei ruoli più sfaccettati e gioiosamente articolati tanto da riportare alla mente la freschezza di una giovane Shirley MacLaine. Se poi ai due protagonisti si aggiunge una Susan Sarandon capace di alzare il livello dell’intera vicenda con un semplice cameo si comprende forse dove si cela il successo di una semplice commedia scritta magistralmente e condotta con la cura del passato. Unico neo una lunghezza eccessiva, quasi incomprensibile per il genere, ma se ben si riflette, sarebbe veramente impossibile individuare l’eccesso.
di Tiziana Morganti