La Banda della Magliana diventa fenomeno mediatico attraverso docu-film, speciali per la tv e lungometraggi (in attesa del Romanzo criminale di Placido); si ripercorre la sua storia attraverso quei dieci anni di orrori che hanno terrorizzato la capitale e minato le fondamenta dell’imprenditoria regionale. Il film di Costantini, di una buona qualità registica e fotografica, gioca sugli aspetti kafkiani e su quelle atmosfere surreali che periodicamente si sono venute a creare durante i tanti interrogatori di quegli esponenti del gruppo assicurati alla giustizia. Il pesante debito alla fiction si sente in tutto il suo svolgersi, ma in particolar modo quando i protagonisti (alcuni dei quali attualmente “ospiti” di Rebibbia) si trovano a raccontare la loro storia e quella del loro gruppo davanti ad una macchina da presa/spettatore alquanto inerme e indifesa di fronte ad un realismo pasoliniano, ad una romanità a tratti parodistica, a tratti volubile.
Il film di Costantini si limita a narrare la quotidianità di allora, senza imbattersi in tesi coraggiose e oltraggiose, non si fa cenno al radicamento sul territorio (e quindi sulla rete politica di allora) di tali organizzazioni che agivano non solo con atti da cowboy, ma anche con atti notarili; tantomeno si lascia presagire il già noto, ovvero che il nucleo operativo noto come “Banda della Magliana” sia stato sì sconfitto, ma in realtà sbaragliato scomponendo e allargando le sue maglie e dando modo ai suoi membri e comprimari, oggi in larga parte sessantenni, di continuare il “lavoro” da liberi professionisti, avvantaggiandosi ancora di qualche vecchia amicizia di gioventù. Non c’è un colpevole perché il delitto non sussiste nella sua singolarità, appare come una componente folkloristica del nostro Bel Paese oggi dimenticabile perché il tempo ci si è messo di mezzo. Anacronistico diremmo noi, se non fosse che qualche familiare delle vittime di quei dieci anni di sangue sta ancora tentando di ottenere giustizia, e qualche imprenditore sta ancora oggi portando avanti la sua lotta, strozzato da qualche reduce nostalgico. Titolando un film o definendo un periodo storico, pare quasi di archiviarlo, di metterlo nel cassetto, ma stiamo pur certi che tra due date poste tra parentesi c’è un’eternità prima e dopo…
di Alessio Sperati