Oltre trenta settimane di riprese, un nutrito e valido cast di attori locali, tre noti registi per una produzione internazionale già venduta in quaranta paesi, Usa compresi. Da un’idea di Roberto Saviano arriva il 6 maggio in prima serata su Sky Atlantic la versione televisiva di Gomorra. Una storia del tutto originale sul destino di due grandi famiglie di camorristi dediti al narcotraffico internazionale, su una faida che ha provocato centinaia di morti. Un coinvolgente e adrenalinico racconto contemporaneo, moderno nei contenuti, nella confezione, nel linguaggio, nell’estremo realismo delle storie e delle ambientazioni, che non indulge in giudizi ma lascia che sia il pubblico a giudicare.
Dodici episodi, girati da Stefano Sollima, Francesca Comencini e Claudio Cupellini tra le famigerate e degradate “Vele” di Scampia, i dintorni di Napoli, Milano, Roma, Ferrara, Ventimiglia, Barcellona con oltre 150 location. Un cast di duecento attori, con protagonisti ottimi professionisti finora poco noti al pubblico del piccolo schermo come Marco D’Amore, Fortunato Cerlino, Maria Pia Calzone, Salvatore Esposito, Marco Palvetti, Domenico Balsamo. Un grande sforzo produttivo affrontato da Sky Atlantic (che lascia una porta aperta per una seconda serie) con Cattleya e Fandango, in collaborazione con La7 (che li trasmetterà in chiaro in autunno), in associazione con Beta Film che ha già venduto la serie in oltre quaranta paesi tra cui Regno Unito, Francia, Germania, Paesi Scandinavi e America del Nord e del Sud.
Come richiesto dalla grande saga televisiva, alle perverse logiche criminali si intrecciano i legami familiari. Al centro della scena un potente clan locale con i complessi meccanismi che regolano la gestione e il mantenimento del suo impero. La macchina da presa segue i suoi componenti nel quotidiano, violento esercizio del potere, nella cruentissima e spietata guerra armata per mantenerlo. A contrastare questo mortale sistema, personaggi grandi e piccoli che con gesti di eroismo quotidiano tentano di riportare la legalità in quella fetta di società allo sbando.
“Il punto di vista è quello dell’organizzazione criminale – spiega Sollima -, l’approccio etico però è estremamente rigoroso. I meccanismi di narrazione appassioneranno lo spettatore, senza però creare identificazione o desiderio di emulazione. L’incontro con il territorio di Scampia non è stato facile ma non siamo mai scesi a patti con il sistema – assicura il regista -. La gente, partecipando attivamente alle riprese, ci ha aiutati a rendere il racconto più aderente alla realtà, ci ha difeso e protetto”.
La nutrita schiera di bravi sceneggiatori, capeggiati da Stefano Bises, ha impiegato due anni per selezionare il materiale dal vasto contenuto del libro di Saviano, che ha collaborato alla costruzione della serie televisiva ambientata tra Scampia e Secondigliano, nei fatiscenti caseggiati trasformati nel più grande supermarket della droga d’Europa. La storia, ispirata a fatti e personaggi reali, mostra la parabola di un clan egemone che perde l’equilibrio, diventa fragile, subisce l’attacco degli avversari innescando una feroce faida locale. “Autentico è il racconto di come si allestisce una piazza di spaccio, di come si organizza e si compie un omicidio, di come sia la vita di un boss in carcere, di come si organizzano il funerale di un affiliato e i meccanismi del riciclaggio -sottolinea Bises-. L’uso del dialetto napoletano era fondamentale per rendere la storia credibile”. “E’ un racconto-caleidoscopio, dove nessuno è come appare”, aggiunge Francesca Comencini che ha diretto i due episodi con al centro la moglie del boss, Imma Savastano”. “La serie restituisce l’aria che si respira in quel mondo, io sono di quelle parti, lo conosco bene” sottolinea Fortunato Cerlino che interpreta il boss Pietro Savastano.
Personaggi che non si possono amare, proprio perché, sostiene Saviano, mostrati nella miseria quotidiana e nell’inferno delle loro vite. Per lo scrittore era importante realizzare anche una serie tv dal suo Gomorra per penetrare più a fondo tra le conflittualità e le contraddizioni dell’impero criminale, far comprendere meglio un mondo non poi così lontano dal nostro. “Nelle varie puntate riconosci che quella grammatica è anche nella tua vita, che quel modo di ragionare non è di una belva criminale ma di un amministratore delegato – spiega -. Ogni personaggio è la somma delle vite di tanti affiliati. Non traduciamo o semplifichiamo la realtà, non indichiamo soluzioni, non rendiamo nulla epico, raccontiamo la ferocia e la stupidità, senza temere di mostrare qualcosa che in qualche modo attrae. Guardare la serie e poi emulare le gesta dei personaggi credo sia profondamente improbabile, può solo fare da spunto a chi già ha scelto di essere un criminale”.