Finalmente possiamo tirare le somme sul tanto atteso e discusso film per bambini vietato ai bambini, quarto episodio di una serie bilionaria intriso di amore e morte come un Falstaff. Qualche teschio in più, un enorme pitone che squarcia le tenebre tra i titoli di testa e un Lord Voldemort illustrato con il volto di Ralph Fiennes truccato come uno dei “Crawlers” di Discesa nelle tenebre: questi gli elementi che hanno dettato negli States la scelta di un PG-13 e che forse non avrà alcun seguito in Italia, anche perché è vero che Harry Potter piace a tutti, ma togliersi quella fetta di pubblico in sala sarebbe un ulteriore invito a procurarsi una copia “sottobanco”. Quarto anno dunque alla scuola di magia e stregoneria di Hogwards: notiamo subito la diversa statura dei protagonisti, ormai sedicenni, e una sterzata forte verso valori “comunitari” della vicenda: la Rowling, dopo averci erudito sui valori di amicizia e fratellanza, apre a quelli della tolleranza e della necessaria cooperazione delle forze in causa per una società multietnica. Facciamo infatti la conoscenza degli esponenti della scuola bulgara di Durmstrang e delle attraenti “francesine” di Beauxbatons, notando anche tra le stesse mura di Hogwards un maggior numero di comparse di colore e orientali (la stessa Cho Chang – Katie Leung che farà innamorare il protagonista). Anche il Torneo Tremaghi e il Ballo del Ceppo non sono altro che due tradizionali occasioni per fare incontrare gli esponenti delle tre scuole e per alimentare una sorta di “ONU della magia” vagheggiata dal Ministro Barty Crouch (Roger Lloyd Pack).
Dopo l’evidente evoluzione stilistica apportata da Alfonso Cuaron nel precedente Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, per il quarto episodio arriva finalmente un regista britannico, quel Mike Newell di Quattro matrimoni e un funerale e Donnie Brasco che riesce a svolgere il compito con buoni esiti. Il regista, scartato in occasione del primo episodio quando fu scelto Chris Columbus, riesce con destrezza a rappresentare sullo schermo un libro di oltre settecento pagine, supportato anche dalla buona sceneggiatura di Steve Kloves: in effetti nonostante il film duri due ore e trentasei minuti ne succedono talmente tante che non ci si annoia. I “campioni” della recitazione a sua disposizione del resto, da Michael Gambon a Maggie Smith, da Alan Rickman a Brendan Gleeson, hanno reso più semplice lo sviluppo di una trama che unisca un certo humor squisitamente “british” a momenti di alta tensione. Per rendere HPCdF più snello e scorrevole si è lavorato di “cesoie” su alcune parti accessori alla trama principale: sono spariti i Dursley e quasi del tutto anche i Wesley oltre al fatto che a consegnare l'”algabranchia” ad Harry è Neville e non Dolly come nel libro. Un film poi costato 140 milioni di dollari e che annovera nel suo cast tecnico ben otto società specializzate in VFX non può lasciare nulla di intentato. Le meraviglie pirotecniche della computer grafica arrivano fin da subito, quando viene mostrato il meraviglioso stadio da Coppa del Mondo di Quidditch con gli spalti sviluppati in verticale, e continuano durante le tre prove del Torneo Tremaghi, dal duello volante tra Harry e il drago spinato, al viaggio negli abissi del Lago Nero, fino all’entrata nel labirinto finale. Non mancano le frecciatine ad un certo tipo di stampa, rappresentata dalla giornalista Rita Skeeter (Miranda Richardson) della Gazzetta del Profeta che mette le parole in bocca al suo intervistato e non esita a trasformare un abbraccio di incoraggiamento in un cenno di storia d’amore tra studenti.
Ancora un successo per quello che è ormai un trademark inarrestabile, lo dimostra la platea di bambini che durante l’anteprima ha applaudito sul titolo, e mentre lo scorso luglio la Rowling ha presentato al castello di Edimburgo il sesto libro della serie polverizzando nelle ventiquattro ore seguenti qualsiasi precedente record di vendita, il cast è già sulle scene del quinto film Harry Potter e l’Ordine della Fenice agli ordini del regista David Yates. Sebbene la recitazione di Daniel Radcliffe lasci un po’ a desiderare speriamo che la sua partecipazione al progetto indipendente December Boys (anche qui interpreta un orfano) gli abbia insegnato qualcosa. Non possiamo che tessere lodi invece per la signora Rowling divenuta ricca come Bill Gates con una operazione editoriale senza precedenti nella storia, quella cioè che sta crescendo una generazione, che potrebbe anche coincidere con quella del figlio David, avendola “raccolta” a poco meno di dieci anni e conducendola fino alla maggiore età elevando i toni e i contenuti della narrazione, percorrendo passo passo cioè l’età adolescenziale che in questo quarto film viene ben enunciata da Silente come «L’età in cui affrontiamo le nostre prime scelte su ciò che è giusto e ciò che è facile». Ma la Rowling non ci lascia disarmati nel labirinto dell’adolescenza perché, continua Silente «Harry sa di avere tanti amici», e qui ci dà anche la sua personalissima risposta al problema. Ci rendiamo conto quindi che a spaventare le giovani generazioni non è qualche teschio o l’idea della morte, forse troppo brevemente sintetizzata in una sola frase che uccide e in un raggio verde che ti fa sbarrare gli occhi; a far veramente paura è la solitudine, quella di un bambino lasciato a se stesso che per attirare un po’ di attenzione su di sé può aver bisogno di spiaccicarsi su un muro a 300 all’ora o di far qualcosa di pericolosamente adulto per sfuggire a quell’infanzia che non gli ha dato nulla. In questo possiamo dire che Lady Rowling la sua pietra filosofale l’abbia trovata.
di Alessio Sperati