Step è tornato, ma ad essere onesti non ne sentivamo la mancanza. Accompagnato, anzi enfatizzato da una promozione esagerata composta da un live tour seguito in diretta da Radio105, dalla ristampa dell’omonimo libro di Federico Moccia e dall’ormai onnipresente singolo di Tiziano Ferro con relativo video, Ho voglia di te cerca di cavalcare l’onda del successo generazionale di Tre metri sopra il cielo, ma il risultato è disastroso. Se è vero che al peggio non c’è mai fine, questo film ne è la rappresentazione vivente, la non eccezione che in questo caso conferma pienamente la regola. Ma andiamo con ordine. Come abbiamo detto il giovane e ribelle Step torna a Roma dopo due anni trascorsi negli Stati Uniti, dove ha avuto la possibilità di crescere e superare i problemi comportamentali che lo hanno sempre messo nei guai. Sulla sua strada incontra Gin, Laura Chiatti, che riuscirà a farlo innamorare ancora una volta. Ma il suo cuore è veramente libero o c’è una parte che ancora è dedicata a Babi? A fare da sfondo a questo amletico interrogativo un gruppo di adolescenti non ben identificati, figli di una borghesia benestante, facili all’introspezione depressiva, dediti allo sballo ed al sesso facile. Tutto questo orchestrato attraverso una regia disordinata, fastidiosa e tediosamente lunga, mentre dialoghi da querela conferiscono il tocco finale alla bufala dell’anno. Altro che film più atteso. In confronto gli annuali prodotti di Neri Parenti e dei fratelli Vanzina meritano il marchio Doc dell’autorialità. Dagli ormai famosi lucchetti di Ponte Milvio fino a tutta la zona di Viale Mazzini e Parioli, il film si prospetta come un enorme spot turistico dalla colonna sonora troppo alta ed invasiva. Il risultato è una Roma fotografata sempre dal profilo migliore, dalle incantevoli notti romantiche e dai cieli esageratamente stellati come un lampadario sempre acceso.
Certo il regista Luis Prieto doveva in qualche modo eludere l’attenzione del pubblico dagli evidenti buchi di sceneggiatura e da una recitazione imbarazzante, ma il trucco è troppo evidente per passare inosservato. Se ci concentriamo sui protagonisti le cose non migliorano sicuramente. Riccardo Scamarcio, forte dei suoi occhi azzurri e di quell’aria sempre un po’ scocciata che tanto piace alle ragazzine, si aggira per tutto il film esibendo le due espressioni a sua disposizioni: accigliato ( è la migliore) e vagamente sorridente. Unica variazione sul tema l’intensità del tormento interiore espresso attraverso un cospicuo corrugamento della fronte. Laura Chiatti, per l’occasione con caschetto moro e look da dura, è un controcanto eccessivo alla femminile ed un po’ antica Babi, tutta perle e perbenismo borghese. Accanto a loro si aggirano poi una serie di personaggi che definire aleatori è un complimento. Da Paolo, fratello di Step, un medioman dall’eterno sorriso inquietante e da un’ evidente sindrome da casalinga disperata, ad un padre single che infelicemente “esce, fa cose e vede gente” per finire con una madre che si riscatta dalle colpe passate grazie ad una morte improvvisa ( impossibile comprendere come, quando e soprattutto perché la malattia sopraggiunge) l’insieme che si profila è sottilmente inquietante. Inconsistenti come ectoplasmi, indispensabili come uno spremi agrumi di ultima generazione, ci si dimentica di loro con una facilità sorprendente con un’unica domanda sulle labbra: “Si va bene, ma a che serviva questo personaggio?” Certo è che nonostante una sceneggiatura pessima ed una regia ancora più memorabile in senso negativo, Ho voglia di te è destinato a sbancare il box office. Perché lo si voglia ammettere o meno la realtà è una sola. Di fronte all’occhio ceruleo di Scamarcio per le adolescenti non c’è qualità cinematografica che tenga. E forse è anche giusto così. Ma tra Ho voglia di te e Il Dott. Stranamore deve pur esserci una sana via di mezzo capace di attrarre anche i più giovani. Speriamo che la trovino quanto prima.