Che pasticcio questa trasferta hollywoodiana del regista francese Florent Emilio Siri dopo la buona prova del suo Nido di vespegirato in patria! Non che Hostage non arrivi al suo primario fine, che è quello di farti sobbalzare dalla paura ogni cinque minuti, mettendo a dura prova le arterie, ma a parte sparatorie e la sensazione di essere finiti, per ambienti e situazioni, in una versione ancora più accorata de Il Corvo (uno e due), il terribile difetto di questo blockbuster è una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti. Non c’è una battuta nella bocca di Bruce Willis che non susciti una decisa ilarità e che non faccia a cazzotti con la suspense continua in cui vive il suo personaggio. Un poliziotto simbolo del machismo buono e corretto di nome Jeff Talley che si ritrova a rivivere l’incubo di salvare una famiglia presa in ostaggio da tre scalmanati teenager che, dalla prima sequenza, subito si comprende che faranno danni a caterva, perché uno ha la faccia da psicopatico, uno è imbecille, l’altro un gregario che si sente leader non si sa bene di cosa.
Con Talley condividono lo stesso disprezzo per quelli troppo ricchi, con una casa a forma di fortezza, che vivono con telecamere in ogni stanza, citofoni interni e tutta un’artiglieria virtuale parecchio minacciosa. Solo la macchina di un tizio che vive come Bill Gates volevano rubare quelle tre canaglie, ma si ritrovano a dover fare i conti con una poliziotta uccisa, con il corrotto padre di famiglia stirato per terra e due vispi fratelli, il cui piccolo tesse la tela del ragno con un cellulare che lo tiene costantemente in contatto con il mito Willis. Maschi buoni contro maschi cattivi, dunque, con alcuni di quest’ultimi che rapinano la famiglia di Talley, giacché l’FBI negli States ha sempre delle magagne al suo interno. La casa castello del signor Smith farà la gioia di novelli “interior designer”, ma alla quarantesima pistolettata capisci che delle buone location non fanno un film che non ricorderai più dopo un quarto d’ora che sei uscito dalla sala (il suo maggior pregio, alla fine della fiera, contro troppi lungometraggi pensosi ed inutilmente “problematici”). Willis ha sempre la faccia contrita, come se ancora non avesse metabolizzato l’importante prova di attore de Il sesto senso.
di Vincenzo Mazzaccaro