Inseguimenti in auto e a piedi, sparatorie a non finire, combattimenti, salti acrobatici e ninja volanti. No, non è John Woo ma Olivier Dahan. Un imitatore? Forse no, o forse non solo. Una concezione molto fumettistica e proiettata verso un ‘divertissement’ al di sopra delle ragioni autoriali, sta dietro a un sequel che ha poco a che vedere con il suo predecessore, se non per il suo protagonista, l’ispettore Niemans e per la conservazione di alcune atmosfere di fondo. Per nulla togliere allo spirito di sfida di Olivier Dahan, Kassovitz ci sembrava non solo più dotato registicamente, ma anche più ispirato foss’anche per la freschezza del romanzo di Jean-Christophe Grangé che metteva a disposizione le sue quattrocento pagine di storia contro un Luc Besson tuttofare che ha voluto scrivere il sequel e produrlo con la sua fiammante Europacorp, solo basandosi sui personaggi creati dallo stesso scrittore. Se riusciamo a lasciarci alle spalle l’idea di un gruppo di rifondatori del nazismo che va in giro ammazzando i dodici apostoli con tanto di Gesù al seguito, e un gruppo di frati ninja che vola da un palazzo all’altro sfondando porte e finestre, forse riusciremo anche a trovarci catturati da una vicenda che tutto sommato può creare anche una certa suspense. Questo naturalmente fino alla conclusione, dove, come purtroppo molto spesso capita, il substrato narrativo/emotivo si affievolisce dietro una risoluzione che non ha spessore alcuno. Jean Reno non stona come giustiziere dalle poche parole e molti fatti e un Magimel risulta più bravo come artista marziale che come attore. Un merito comunque se c’è, va a questa nuova generazione di registi francesi, e al loro tentativo nobilissimo di reggere o almeno tentare di farlo, il confronto con lo strapotere dell’action movie made in Hollywood: la spettacolarità di alcune scene di azione de I fiumi di porpora fa gridare al miracolo e fa sorgere inevitabile un raffronto sullo stato di salute del nostro cinema. Forse c’è il fatto che da noi si percepisce ancora pressante una certa “politica degli autori”, mentre in Francia hanno acutamente percepito la sovranità dei botteghini, indispensabili per la sopravvivenza del cinema stesso, anche di quello di qualità.
di Alessio Sperati