Favino e Accorsi insieme per la commedia agrodolce di Lucio Pellegrini
Medici rampanti senza scrupoli che ammassano soldi sulla pelle dei pazienti, un triangolo amoroso tra la bella e annoiata signora-bene impegnatissima nel fitness, il solido marito e il fascinoso amico di famiglia idealista, un finale a sorpresa che scompagina tutte le carte. Nel film di Lucio Pellegrini La vita facile (prodotto da Fandango con Medusa che dal 4 marzo lo distribuira in circa 300 sale) ci sono proprio tutti gli ingredienti che hanno dato lustro al cinema italiano anni ’60 con “mostri” come Sordi, Gassman e Manfredi. A loro fanno riferimento i “mostri” contemporanei Pierfrancesco Favino e Stefano Accorsi, protagonisti di questa divertente commedia agrodolce con Vittoria Puccini, Camilla Filippi, Angelo Orlando, Eliana Miglio e Ivano Marescotti.
Favino e Accorsi tornano dunque sulle tracce di Alberto Sordi e Nino Manfredi nel Continente Nero con questa commedia “cattiva”, dal gusto amaro, come si facevano una volta, che strappa parecchie risate grazie alla bravura dei due protagonisti che si rimpallano le azzeccatissime battute con perfetti tempi comici, degni dei loro “maestri”. La storia parte da Roma dove il cinico dottor Mario Tirelli (Favino) è un cardiochirurgo affermato e di pochi scrupoli con l’esile moglie Ginevra, bella e viziata (Puccini). Quando all’improvviso molla tutto per raggiungere in Kenya l’amico di sempre Luca Manzi (Accorsi), medico idealista che ha aperto uno sgangherato ospedale umanitario nella savana, sorge qualche sospetto che stia fuggendo da qualcosa.
Li raggiungerà anche Ginevra, donna immatura e sentimentalmente ambigua, che cambierà le carte in tavola. «La vita facile – spiega Pellegrini – è il racconto di un’amicizia, di due storie d’amore e di almeno quattro tradimenti. Il fatto che la vita di Luca sia stata condizionata da un padre-barone della medicina settantenne che non molla, ricorda molto questa realtà italiana che resta in mano ai Settantenni». «Nessuno è santo e nessuno è perdonabile – dice Favino – sono personaggi già cari alla commedia anni ’60, per un attore divertenti da interpretare, ma sociologicamente non li giudico. Non so se Sordi e Manfredi si ispirassero agli italiani di allora – gli fa eco Favino-, ma che quaranta anni dopo si possa fare un omaggio del tutto simile all’Italia di oggi non è una cosa confortante».
«Nel film nulla è come sembra – aggiunge Accorsi -, si evitano i luoghi comuni e il buonismo sul continente africano, si raccontano i vari aspetti dell’egoismo. Si parla di vita facile, una chimera cui ambiscono tutti i personaggi». «Ginevra è buffa anche nelle sue zone d’ombra, nelle superficialità – dice la Puccini -. Usa il fascino per gestire i suoi uomini ma poi è fragile, insicura, molto diversa da me». «L’ italianità nel film è sempre presente – prosegue il regista -, non so se siamo proprio così, ma è vero che ormai ci dividiamo su tutto. O ci integriamo o rifiutiamo cosa succede, viviamo in uno schema calcistico, senza spazi per la discussione, o si accetta il modello imperante o si rifiuta. Come fanno Pierfrancesco e Stefano, uno lo cavalca per sopravvivere, l’altro lo rigetta. È molto interessante per noi quarantenni, che ci ritroviamo ad essere sempre figli in questo paese di vecchi».