Ex criminali-attori per uno spaghetti gangster in salsa napoletana originale e divertente
Protagonisti di Take Five, scritto e diretto da Guido Lombardi, in concorso al Festival di Roma, quattro ex galeotti e un idraulico col vizio del gioco affogato nei debiti che mettono a segno una rapina milionaria con coraggio e incoscienza. Per il titolo e per dare il giusto ritmo alla vicenda, Lombardi ha preso in prestito l’omonimo brano di Bruback del 1959 dall’irregolare tempo quintuplo in cinque beat. E si è affidato alle musiche di Giordano Corapi, che ha trovato il giusto tono richiamandosi agli spaghetti western di Morricone, alla musica di Bill Conti. Anche nella narrazione c’è un azzeccato mix di generi, dai Soliti ignoti alle Iene a Rapina a mano armata, con cinque protagonisti e sei settimane di riprese effettuate con pochi soldi, a Napoli, con l’aiuto di Rai Cinema e del ministero.
Il trentottenne regista napoletano, dopo il felice esordio nel 2011 con Là-bas-educazione criminale (miglior film nella Settimana della Critica a Venezia) torna con questo tragicomico thriller, malinconico a sfondo noir. Per i protagonisti ha voluto ad ogni costo, racconta, Gaetano di Vaio (che è anche coproduttore del film) nei panni del ricettatore, Salvatore Striano (poi scelto dai Taviani per il film vincitore dell’Orso d’oro a Berlino) il fotografo malato di cuore, Peppe Lanzetta il galeotto depresso detto O’ Sciomèn, Carmine Paternoster, l’ingenuo operaio ideatore della rapina, Salvatore Ruocco, il giovane pugile fallito nipote di Gaetano, rinunciando a una coproduzione con la Francia che gli avrebbe imposto nientemeno che un attore come Depardieu. I personaggi del film hanno gli stessi nomi degli attori che, in tre casi su cinque, hanno analoghe esperienze carcerarie. Ad accomunare la gang (chiamata a Napoli “paranza”) la necessità di riscattare o salvare la propria esistenza con una potente iniezione di denaro. Diffidenti ma solidali, dopo aver svuotato il caveau di una banca con conseguente fuga nel condotto fognario cittadino, saranno coinvolti in un reciproco gioco al massacro per spartirsi il bottino.
“The big cauna è stato il film di riferimento quando con Gaetano di Vaio e con poche risorse quattro o cinque anni fa pensavamo di portare al cinema una nostra storia – ricorda Lombardi -. Prima delle riprese abbiamo provato intensamente per tre settimane nell’appartamento che nel film è lo studio fotografico di Sasà, tutti hanno dato un grande apporto alla sceneggiatura”. “Mi ha scelto prima che facessi il film coi Taviani – racconta Striano -, prima di girare provavo ansia, ansia, ansia”. “La storia è stata cucita addosso agli attori – racconta il produttore Luca Curti -, il cast era blindato, Guido ha difeso tutti i suoi talenti anche al costo di venire alle mani”. E vedendo il film non si può non dargli ragione. “Facendo uno spaghetti gangster è molto difficile avere credibilità – spiega Lombardi -. Loro cinque col loro carisma e con il loro passato criminale, erano gli unici in grado di interpretarlo”.
“E’ un mondo duro, aver fatto certe esperienze fuorilegge è stato un valore aggiunto – dice Di Vaio -, doveva essere un film originale”. E lo è davvero. “Nessuno di noi ha precedenti per rapina – ci tiene a sottolineare Striano, con ironia – questa è stata la nostra prima”. “Anche nel mio piccolo curriculum criminale mancava e neppure ho mai fatto l’elettricista – gli fa eco Paternoster -, è stato un bel confronto con me stesso”.”La criminalità a Napoli viene raccontata sempre con realismo – conclude Lombardi – ho voluto sganciarla dalle tematiche sociali per dare spazio alla fantasia con vari colpi di scena e flash back”.