Come Dio si è fatto uomo, Moretti si fa Berlusconi. Con un intento a suo modo salvifico il regista più sinistrorso del cinema italiano si incarna nel noto imprenditore, si sporca le mani nel rossiano “impero del male” a poche settimane dalle elezioni politiche. Nessuna sorpresa per uno come lui che con il suo cinema ha scandito le rivoluzioni della cosmologia parlamentare italiana. Come in un quasi-sequel de Il portaborse, Moretti ripropone, dopo oltre dieci anni, un bravissimo Silvio Orlando nel ruolo, questa volta, di un produttore di B-movie sull’orlo del fallimento. Abbandonato dai più fedeli collaboratori, tra cui un insolito Giuliano Montaldo, Bruno si aggrappa ad una flebile scintilla, la sceneggiatura di una giovane regista alle prime armi, Teresa (Jasmine Trinca). ll titolo è Il Caimano ed è la storia della scalata al successo di Silvio Berlusconi, dagli anni ’70 ad oggi. Bruno aveva detto di sì senza nemmeno leggerla e quando Teresa gli rivela il nome del protagonista, va a sbattere con la sua Volvo. Eppure non ha altro per le mani, ed è costretto ad accettare, ma chi sarà quell’attore abbastanza sprovveduto da calarsi nei panni dell’uomo più importante d’Italia? La risposta a questa domanda è la cosa più comica in una commedia a tratti molto divertente e dove, come direbbe Moravia, si corrodono le cerniere della storia come farebbe la ruggine.
Partiamo con l’analizzare la locandina del film. Il titolo in rosso è l’epiteto che Franco Cordero usò sulle pagine di Repubblica riferendosi a Berlusconi. Quel termine ha tuttavia anche un valore scaramantico perché si ricollega all’altra grande passione morettiana dopo il cinema: la pallanuoto, glorificata nel suo Palombella Rossa. Se su Google cerchiamo la parola “caimano”, al primo posto della ricerca salterà fuori la homepage del campione di pallanuoto Eraldo Pizzo che così era soprannominato. Da cui anche l’immagine di Silvio Orlando che esce fuori dalla piscina, dopo aver ricevuto una sonora ramanzina dall’amico polacco che gli sbatte in faccia la sua “italietta” che si scava la fossa da sola. In tutto questo Il Caimano potrebbe sembrare un film politico, ma a tutti gli effetti non lo è. La trama ruota intorno a Bruno e Paola, una coppia alla soglia della separazione, coinvolta nella sottile quanto inutile ricerca di rassicurare i propri figli sul loro futuro. Quella sceneggiatura che finisce tra le mani di Bruno non fa che alimentare i suoi incubi, fornirgli un tema ricorrente, il Caimano appunto. Incontriamo questo sinistro seppur curioso personaggio mentre si vede sfondare il soffitto dell’ufficio da un valigione carico di miliardi, i famosi soldi “piovuti dal cielo” di cui viene accusato dalla finanza. Lo vediamo inaugurare la prima trasmissione televisiva in tarda serata con la ricetta “tette e culi”, in contrapposizione al grigiore della televisione di Stato. Le tappe dell’ascesa al potere del Caimano scorrono al ralenti come sottofondo della vita di Bruno che va in frantumi come il Lego del figlio.
Il Caimano si rivela così come il ritratto sarcastico di un’ italietta che implode sotto i colpi della propria negligenza e che abdica la propria dignità e memoria collettiva a una pay tv. Nanni Moretti in questo ha centrato il problema, pur non scrivendo un capolavoro di cinematografia né un vero e proprio trattato sociopolitico. La sua più grande intuizione è il rendere protagonista del suo film non Silvio Berlusconi, e nemmeno il “buon uomo”, l’italiano medio, il (relativamente) onesto lavoratore, bensì quell’Italia volubile e seducibile come una bella donna che si abbandona a lusinghe e costosi regali. Una dama di compagnia che non fa domande, che non vuole sapere che mestiere fa il suo uomo, se è un criminale oppure no, perché non la riguarda. Così dice Moretti stesso che si infila nel film per tracciarne le parentesi graffe: «Chi voleva sapere, sa. Chi non vuole vedere, non vede». Ma Il Caimano è anche un film sul cinema, quella voce artistica che l’attuale governo ha messo tra le “varie ed eventuali”, e che si pregia di grandi attori, registi del presente e del passato, qui con una vasta rappresentanza (da Placido a Sorrentino, da Virzì a Garrone). Berlusconi non parla mai di Moretti, un po’ per non fargli pubblicità gratuita, un po’ perché sa di avere un grande avversario sul piano della strategia di comunicazione. L’attesa su questo film è stata portata ai massimi livelli, fino ad oggi non era trapelata nemmeno la durata. Placido, che si è prestato al gioco, ha detto di avere nel film solo un paio di pose, mentre il suo è un ruolo che va ben oltre. Il suo personaggio, un attore lussurioso e distratto, rappresenta il rifiuto di un certo tipo di cultura che, più per svogliatezza che per altro, non si presta all’antiberlusconismo.
Moretti stesso ha voluto alimentare la particolarità comunicativa dell’evento non intervenendo alla proiezione stampa. Non ha ceduto quando anche il più duro tra gli oppositori a questa temuta quanto necessaria consuetudine, Aurelio De Laurentiis, ha ultimamente acconsentito agli incontri con la critica. Niente interviste dunque, solo pochissime apparizioni radio-tv selezionate (sarà da Fazio sabato e in settimana da RadioTre e da Fiorello) e tanti incontri con il pubblico, a partire dall’Anteo di Milano sabato mattina, al Modernissimo di Napoli lunedì sera, al Massimo di Torino martedì, mercoledì a “Cinemazero” nell’Aula Magna del Centro Studi di Pordenone, giovedì a Trieste e Udine e il 4 aprile al Lumière di Bologna. Come dire l’avversario si combatte sul suo stesso campo, quello delle strategie di marketing. Del resto in un’Italia mercificata sapersi vendere è fondamentale. In quanto alle conseguenze elettorali, speriamo di non fare un autogol.
di Alessio Sperati