“Che importanza ha se quello che si scrive in un libro sia realtà o frutto dell’immaginazione?”. Così risponde a un giornalista lo scrittore Daniel Mantovani nel film Il cittadino illustre dei registi argentini Gastón Duprat e Mariano Cohn, vincitore della Coppa Volpi all’ultimo festival di Venezia per la splendida interpretazione di Oscar Martinez, al cinema dal 24 novembre.
Un dilemma intorno al quale è costruita quest’ ottima commedia, malinconica, intrisa di realismo e ironia. Una storia coinvolgente, poetica, a tratti leggera ma sostanzialmente drammatica, frutto della sceneggiatura scritta con precisione e delicatezza da Duprat e Cohn, che ruota intorno a questo scrittore argentino di mezza età trasferitosi da decenni in Europa. Un uomo schivo, che considera il premio Nobel ricevuto come un suggello alla fine della sua carriera. Rifiuta sistematicamente decine di prestigiosissimi riconoscimenti e inviti da ogni parte del mondo, per poi accettare di tornare dopo trent’anni al paesello natio, sperso all’interno dell’Argentina, per ricevere la cittadinanza onoraria.
Un ritorno alle umili origini da cui è fuggito quasi rinnegandole ma da cui ha tratto la linfa per i romanzi che lo hanno reso un fenomeno letterario planetario. Ben presto però la festante e affettuosa accoglienza dei concittadini e amici d’infanzia lascerà il posto al rancore, all’invidia, alla rabbia covata da quelle menti provinciali grette e violente, grondanti conformismo e menzogne, lontane anni luce dal suo pensiero, che per questo lo avevano costretto alla fuga.
Il film mette in luce diversi dibattiti aperti in Argentina, tra cui il rigetto dello sguardo critico rappresentato dal protagonista di fronte alla difesa nazionalista dei suoi conterranei, al loro sguardo piccolo, da paese di provincia che rappresenta la negazione di ogni idea di progresso.
Gli autori sottolineano nella pellicola anche la ferita aperta nell’orgoglio argentino, paese di grandi scrittori come Borges, per la mancanza di un Nobel per la letteratura.