L’aula di un tribunale è il regno della parola. Ne è convinto Christian Vincent che vi ha ambientato il suo film La Corte, nelle sale dal 17 marzo, con uno strepitoso Fabrice Luchini nei panni di un inappuntabile Presidente di corte di assise, con tanto di toga rossa e colletto di ermellino. Il regista francese non sapeva nulla sul mondo della giustizia e per prepararsi si è insinuato in una giuria, scoprendo che la corte è un po’ come un teatro, con il pubblico, gli attori, la sceneggiatura, le quinte, la natura orale del dibattito. Ha seguito dietro le quinte i giurati, assistendo al confronto tra loro, con i magistrati, con gli avvocati di accusa e difesa, chiarendosi tanto bene le idee da stendere una sceneggiatura credibile.
Scrivendola già pensava di affidarla a Luchini, che ha dipinto come un piccolo uomo triste, solitario, pignolo, temuto dai colleghi, che istruisce con sobrietà e precisione il suo processo. E’ soprannominato “il giudice a due cifre” perché le sue condanne non sono mai inferiori ai dieci anni. Perfetta anche la scelta dell’attrice danese Sidse Babett Knudsen per la parte della bella e misteriosa giurata che romperà il ghiaccio emotivo del giudice aiutandolo a uscire dal suo gelido guscio.
L’attore francese di origine italiana, per prepararsi al ruolo ha assistito ad un processo. “Meno male che la giustizia non si è basata sulla mia sensazione. in Europa la gente vuole risposte semplici, veloci nel dichiarare un colpevole, in Francia si garantisce ancora il diritto alla difesa” commenta Luchini presentando il film a Roma. Non conoscendo a fondo l’Italia, spiega che nel suo paese la sinistra è completamente sparita per far posto al populismo. Anche lui pensa che ci sia una certa similitudine tra i ruoli di giudice e attore. “Il protagonista qui è mediocre, odioso ma quando indossa la toga riesce a ritrovare tutta la sua grandezza”.
E forse una toga andrebbe messa anche al nostro cinema “In Francia è meno geniale del vostro ma è molto protetto e aiutato. In Italia c’è una forte regressione rispetto alle produzioni degli anni 60’, ’70, ’80, quello dei geniali Visconti, Fellini, Scola, ammirati in tutto il mondo, l’orrore della vostra televisione li ha messi in ombra”.
Pollice verso dunque per la nostra tv (più che condivisibile) e per un certo forzato umorismo. “Tutto è derisione, siamo schiacciati dall’umorismo meccanico, triste, conformista, che è per i mediocri, non ha un futuro – sottolinea Luchini -, quando è istituzionalizzato diventa ‘statale’, invece deve essere l’inatteso. La pessima tv ne ha spezzato la genialità. Non bisogna confondere l’intelligenza con le false risate registrate, fate la rivoluzione contro l’abbrutimento della tv italiana”.