A confronto due generazioni, il cinquantenne Achille (Carlo Verdone) e il ventenne Orfeo (Silvio Muccino), non poi così diverse tra loro. Infatti se il giovane interpreta la diffusa apatia che attanaglia la moderna gioventù («Sono diverso dai miei coetanei, non vado in discoteca, non ballo, non gioco alla Playstation, ma soprattutto non ho aspirazioni…»), allo stesso modo il giovane vecchio rappresenta quella larga fascia di uomini che solo in apparenza hanno tutto, mogliettina (Agnese Nano) ricca, magra, attraente e bionda, figlia (Ana Caterina Morariu) studiosa e bellissima, una villa da urlo, una potente auto, un’amante più giovane focosa e disinibita, un lavoro di responsabilità e prestigio. In realtà è un ometto tanto piccolo e miserabile che non avrebbe bisogno dell’intervento di Orfeo per rovinarsi una vita che già stenta a definirsi tale, perché in fondo è già decrepita di suo. In qualche modo entrambi in modo più o meno volontario distruggono le rispettive esistenze, in realtà salvandosi semplicemente da se stessi e dalla propria autodistruzione. In fondo non sono poi così diversi, dati anagrafici a parte, anzi si potrebbe azzardare che siano uno la proiezione dell’altro, Orfeo il giovane che Achille forse è stato, e Achille l’uomo che forse Orfeo sarà. Poco sviluppato il contrasto tra la famiglia vera (spesso disastrosa, ai limiti dell’indecenza) e quella che ci scegliamo (altrettanto squilibrata ma più forte e genuina). Un tema forse troppo gravoso da affrontare in una commedia.
Fortissimo Verdone, non perde mai un colpo grazie anche ad una strepitosa mimica facciale. Verdone dimostra ancora una volta di aver raggiunto un’ottima maturità negli ultimi film, sia come regista che come attore. E scopre come si possa far ridere seminando contenuti semplici ma non per questo banali. Il Carlo nazionale riesce perfettamente a rappresentare un esponente della classe media (mediocre) del nostro paese, nel suo qualunquismo, e nella sua bulimia. Degno erede del grandissimo Sordi. Il personaggio di Muccino convince meno, più deboluccio e irrisolto. La sua fiacchezza è data dal risolversi del suo personaggio in una storia d’amore, incapace di realizzarsi autonomamente ha costante bisogno di altri per farlo. È meno complesso e accattivante rispetto all’adulto, anche i colpi bassi che sferra non sono pari all’elemento che li ha scatenati. Muccino quindi non sempre all’altezza del maestro ma discreta spalla che tuttavia andrebbe maggiormente sviluppata. Funziona la trama, un’avvincente avventura da cui si può uscire a testa alta solo dopo aver davvero toccato il fondo, perché “se non hai nulla, non hai nulla da perdere”. La seconda parte del film tuttavia perde di verve rispetto alla prima, e tutto rischia di scivolare nel buonismo, ma il pericolo viene aggirato dal dinamismo della coppia. Formidabili le gag dei guardoni organizzati e dell’ospedale. La nuova strana coppia del cinema italiano torna un anno dopo Manuale d’amore (in cui in realtà duettavano solo in una scena) decisa a scalare febbrilmente il botteghino. Battute mai volgari nonostante le parolacce. Funzionano. Purché non diventino Boldi&DeSica…
di Claudia Lobina