Il celebre regista ci parla del suo nuovo lavoro, pronto per gennaio 2013
«È solo una storia d’amore a tinte gialle ambientata nel mondo delle vendite all’asta». È schivo Giuseppe Tornatore nel parlare del suo nuovo film La migliore offerta, appena finito di girare, che sarà pronto per le nostre sale il prossimo 4 gennaio distribuito da Warner Bros. Italia. Nessun attore italiano, neppure nei piccoli ruoli, nel cast stellare in cui capeggiano Geoffrey Rush, Donald Sutherland, il giovane Jim Sturgess e la bella Sylvia Hoeks.
«Nelle vendite all’incanto l’offerta valida è la più alta, mentre per gli appalti vince la più bassa. In amore non si sa quale sia l’offerta migliore per conquistare l’altro» dice il regista siciliano, che stavolta ha voluto rompere le costanti dei lavori fatti finora. «Un film completamente diverso, senza connotazioni autobiografiche» assicura, pur non volendone svelare la storia, un po’ gialla e un po’ thriller, ma senza morti e assassini, ci tiene a precisare, anche se nei pochi minuti che mostra in anteprima salta all’occhio una scena con un uomo immobile a terra coperto di sangue, che lui però sostiene essere comunque vivo.
Un’opera che non nasce da un’idea folgorante, spiega, ma dalla fusione di due elementi narrativi messi a fuoco negli ultimi cinque anni. «Una delle tante storie che ho nei cassetti, messa a punto con una sorta di carpenteria cinematografica. È piaciuta al produttore, siamo partiti. Ennio Morricone ha già pronte le musiche». Il protagonista, racconta, è un battitore d’asta inglese che alla fine del film avrà cambiato completamente personalità, «Non so se in meglio o in peggio. Potrei definirla la storia di una trasformazione, grazie all’amore». Gli ha scelto il nome Goldman perché, riusciamo a sapere, il fatto che lui sia ebreo avrà un peso importante nello svolgersi della vicenda.
Tornatore ha voluto un cast completamente anglofono «Perché – sottolinea – non è una storia italiana, l’ho girata in lingua inglese, senza slang americani, con un’ambientazione mitteleuropea e senza alcun attore italiano, non avrebbero funzionato. Non è stata una strategia ‘bottegaia’ per vendere meglio il film all’estero – assicura -, ho scelto la soluzione più saggia perché questa storia, ambientata in Italia non avrebbe funzionato».
Per questo ha allargato i set da Vienna a Trieste, Bolzano, Merano, e un po’ anche a Milano, Parma, Roma, chiudendo le riprese, come promesso al produttore, in tredici settimane. Dovendone ore fare due edizioni, una inglese e una italiana, Tornatore è certo che il film non sarà pronto a novembre per il Festival del film di Roma. Ma forse uscirà negli Usa prima che in Italia, dove sarà distribuito come in Germania dalla Warner Bros. che ha investito convinta in questo “progetto internazionale”. Come il produttore Arturo Paglia della Paco cinematografica, che pur di farlo ha rinunciato alle coproduzioni. «Non garantivano soldi – racconta – siamo andati avanti da soli con l’aiuto della Warner, le agevolazioni fiscali italiane, i fondi dell’Alto Adige, della provincia autonoma di Bolzano, del Friuli Venezia Giulia Film Commission, di Unicredit e con le prevendite, già chiuse in Australia e Benelux e prossimamente anche in Usa, Francia, Inghilterra».
Ma cosa ha attratto un siculo doc come Peppuccio Tornatore dell’asettico mondo delle aste? «Una decina d’anni fa mi arrivò a casa un catalogo, mai sfogliato – ricorda il regista -. Poi, incuriosito, l’ho ripreso in mano e mi sono lasciato conquistare dalla descrizione delle opere in vendita. Una fraseologia attraente, sensuale, convincente, che ti faceva sembrare l’oggetto il più bello del mondo e che ha avuto un ruolo in questa storia. Perciò non buttiamo mai via niente di quello che troviamo nella cassetta della posta».