Da oggi 21 febbraio nei cinema italiani
Il lungo viaggio di Enzo d’Alò per creare una versione animata del tutto nuova di Pinocchio, il terzo libro più letto al mondo, spesso rivisitato da cinema e tv, è cominciato negli anni ’90 e dal 21 febbraio Lucky Red lo distribuirà in 200 sale. La lavorazione del film (molto liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Collodi), raccontato attraverso le suggestive e coloratissime immagini di Lorenzo Mattotti e le musiche originali di Lucio Dalla (scomparso poco prima che il film fosse finito) è durata quattro anni. Coinvolgendo circa cinquecento persone di quattro studi creativi in Francia, Belgio, Lussemburgo e Italia, i paesi che hanno coprodotto il costoso film, finanziato per il versante italiano in maggior parte da Rai Fiction.
Dopo aver passato attentamente in rassegna le colline toscane, fino al mare, per assaporare le atmosfere collodiane, Mattotti ha cominciato a disegnare i personaggi, su carta, con i pastelli, senza alcun ausilio tecnologico, affidandoli poi a cartoonist specializzati che li hanno resi coerenti all’animazione. Un’equipe di scenografi ha quindi scansionato in digitale tutto quel materiale fatto a mano, integrando scenografie e personaggi, mescolandoli al meglio con i colori straripanti delle scene. Uno speciale software sviluppato appositamente, ha permesso di rendere reale il segno grafico, come fosse disegnato a matita.
Il doppiaggio italiano (con le voci di Mino e Gabriele Caprio, Lucio Dalla, Maricla Affatato, Rocco Papaleo, Paolo Ruffini, Maurizio Micheli, Pino Quartullo, Andy Luotto) è stato molto apprezzato anche all’estero, dove è stata preferita la nostra versione a quella in inglese. A far da contrappunto alle vicende del burattino il suggestivo accompagnamento musicale creato con passione da Lucio Dalla. «Lucio si è riavvicinato alla scrittura di musica per il cinema, affascinato da Mattotti – ricorda il suo compagno, Marco Alemanno -. Si è buttato a capofitto, con Roberto Costa, nella scrittura della colonna sonora, con la sua libertà creativa vulcanica. Il tessuto musicale che appare orecchiabile nasconde citazioni colte di Rota, Rossini. Lucio si identificava nelle bugie semplici, come Fellini (che voleva fare un film su Pinocchio). Ha lavorato alle musiche fino a pochi giorni dalla fine, la prima strofa dei titoli di coda l’ha scritta una settimana prima di morire, ora un coro di bambini l’ha resa più giocosa. Il film è dedicato a lui, come un saluto variopinto alla sua carriera, forsennata, da eterno Pinocchio mai cresciuto».
D’Alò è convinto che il suo Pinocchio farà dimenticare quello di Disney, vestito alla “tirolese”. «Sono ripartito dal libro, riattualizzandolo, anche se certi dialoghi sono ancora molto attuali – racconta il regista -. La chiave di lettura è autobiografica, ho raccontato le mie esperienze di figlio. Ci sono tanti fili rossi che spiegano cosa penso io della vita». Il suo Geppetto è un padre che si costruisce il figlio in base alle sue aspettative, come vorrebbero fare tanti padri, caricando i figli di responsabilità. «Pinocchio fugge da questo, sono due viaggi di formazione paralleli – puntualizza d’Alò -. Il rapporto padre-figlio è il punto di vista che ho voluto dare al film. Ha cercato di alleggerire la storia in certi punti, rendendola più solare, positiva, togliendo le scene più forti. «Lucio si è innamorato del pescatore verde, che in tante versioni non c’è, gli ha dato la voce, lo fa cantare. Il mio grillo parlante non pontifica e non giudica, aiuta Pinocchio, com’è nello spirito collodiano. La mia volpe è femmina – spiega – perché mi piaceva l’idea che circuisse Pinocchio in modo diverso dal gatto, più sensuale». Il suo paese dei balocchi non doveva essere un parco giochi punitivo. «Collodi tentava di scolarizzare la popolazione coi suoi libri pedagogici, il mio rispecchia la nostra attualità. È un paese psichedelico, con la musica altissima, che costringe i bambini al gioco, fino all’alienazione».