Un po’ il culto che aleggia sul romanzo di Enzo Striano da cui è tratto il lungometraggio della De Lillo presentato a Venezia 61 come evento speciale, un po’ perché la rivoluzione napoletana del 1799 vista attraverso lo sguardo di Eleonora Pimentel Fonseca ha sempre affascinato intellettuali partenopei raffinatissimi e non solo (tra i più illustri è doveroso citare Benedetto Croce), sta di fatto che sembra ingeneroso parlare male di un film stilisticamente importante e con attori eccellenti come Il resto di niente di Antonietta De Lillo. Ma, a dirla tutta, per alcuni stacanovisti del Lido, per stupidità e stanchezza, questa opera messa in sala nell’ultimo giorno utile della Mostra fu vissuta come terribile “botta di sonno”. A mente più lucida, l’impianto teatrale e l’interpretazione da fantasma “consapevole” di Eleonora della portoghese Maria de Medeiros suona più come uno scandaglio dell’anima storica di questo paese che come acritica santificazione del personaggio.
Le vicende della gentildonna di grande intelligenza e vasta cultura, fine poetessa, che partecipò alla rivoluzione napoletana antiborbonica del 1799, salendo sul patibolo insieme ad altri rivoluzionari giacobini e che scrisse accesi articoli in cui sferzava violentemente i borbonici sul giornale rivoluzionario repubblicano il “Monitore Napoletano” con una vita sentimentale turbolenta e libera, sono deliberatamente sottotono, quasi che la De Lillo avesse paura di confezionare una simil fiction per esegeti (evidentemente la “Luisa Sanfelice” dei fratelli Taviani in televisione, ha spaventato invece che suggerire vie di fuga) per trincerarsi dietro un’eleganza e una ricercatezza per lo meno algide. La Pimentel viaggia tra fantasmi in un flusso di ricordi che spezzano elementari passaggi logici e per poco non si cade nel cliché di una bianchissima e pallida profetessa che parla dal Settecento per scovare i nostri malanni attuali. E sono proprio queste derive messianiche e didascaliche che appesantiscono il film. Si fa fatica a seguire i discorsi con il defunto Gaetano Filangieri e ad un certo punto le evocazioni spettrali sembrano un escamotage per differire l’appuntamento con il patibolo. E, dunque, o c’è empatia o letargia.
di Vincenzo Mazzaccaro