Dopo aver vinto il “Premio coraggio” a Europa Cinema, esce nelle sale il film d’esordio di David Ballerini inserendosi in un contesto caro al suo attore protagonista, il Ceko Ivan Franek, divenuto ormai un vero e proprio tormentone cinematografico dopo Brucio nel vento di Soldini, Provincia meccanica di Mordini e Vodka Lemon di Saleem. Questo del 10 giugno 2005 è proprio il weekend di Franek visto che in sala ne escono ben due di film che lo vedono protagonista, Il silenzio dell’allodola e Sulla mia pelle. In entrambi i casi si parla di carcere, ma mentre il secondo è una storia tutta nostra, Il silenzio dell’allodola è dedicato alla memoria dell’irlandese Bobby Sands, prigioniero politico morto in carcere nel 1981 in seguito ad uno sciopero della fame indetto contro le torture carcerarie e portato avanti per sessantasei giorni. In quegli anni Londra non riconosceva ai carcerati dell’Ira lo status di prigionieri politici, ma di detenuti comuni. Così Bobby e gli altri mettono in atto la loro protesta rifiutando di indossare la divisa dei normali carcerati e, nonostante il freddo – i riscaldamenti venivano sadicamente spenti in inverno ed accesi in estate – scelgono di restare nudi: «Questo film ricorda da vicino i recenti orrori di Abu Grahib – precisa il regista – ma è stato girato un anno prima che quelle immagini fossero mostrate al mondo».
Con i tempi e i luoghi a metà tra la fiction e il docu-film, Ballerini muove la sua macchina da presa all’interno di un vero e proprio macello per esseri umani, un luogo di “resettaggio” della dignità e del concetto stesso di uomo. Franek con i suoi tratti e i suoi occhi profondi e sofferenti è perfetto per la parte, ma viene supportato anche dal bravo Flavio Bucci nei panni dell’inflessibile e cinico direttore del carcere. Il silenzio dell’allodola è un film duro, fastidioso a livello “gastrico”: sono ardue da recepire le scene in cui il protagonista, privato di abiti per scelta e di forme di igiene per imposizione, viene costretto a spalmare le sue feci lungo le pareti della cella per poterle smaltire. «Imprigionare un’allodola, simbolo di felicità e libertà, è una cosa crudele», afferma Franek in un monologo che apre il film, poi l’inseguimento, la cattura e la prigionia. Nella evidente immobilità locativa delle carceri il film di Ballerini è costruito sugli attori, tutti inequivocabilmente sopra le righe, e il tema è di quelli che richiamano alla mente film come La caduta, dove ci si domandava se la colpa del nazionalsocialismo fosse addossabile unicamente al singolo Adolf Hitler e non ad una società malata. Forse è il caso di riaprire i libri di storia prima che pagine come questa vengano scritte ancora.
di Alessio Sperati