Chi era veramente Gelsomina Verde, 104esima vittima innocente di camorra nel 2004 a 21 anni, cerca di spiegarlo l‘omonimo film a lei dedicato, prodotto da Lama e Bartleby Film con Rai Cinema, diretto da Massimiliano Pacifico, che dopo una lunghissima gestazione arriva sulla Piattaforma 1895.
Un piccolo, durissimo film-documentario, politico, non omologato ai deludenti gusti correnti per fare cassetta, che faccia ragionare, riflettere, senza spettacolarizzare la vicenda, evidenziando il rapporto tra lo Stato e le famiglie delle vittime, lasciate sole a scontare una pena infinita. Un film coraggioso, diverso, che fonde immagini di repertorio molto dure ad una ricostruzione teatrale che mette in luce le contraddizioni di una vicenda assai complessa.
Ne 2013 fu creato dal Collettivo Mina alle famigerate Vele di Scampia, un laboratorio per realizzare dei cortometraggi che facessero da controcampo alla serie Gomorra, prodotta da Gianluca Arcopinto che, dopo aver incontrato Francesco Verde, fratello di Mina, mise in cantiere il film per farne un oggetto di dibattito con più persone possibile. A bloccarne l’uscita ci si è messa pure la pandemia, ma ora sperano di poterlo portare anche nelle sale, nelle arene estive.
La storia prende le mosse a Polverigi, sede di un importante festival di teatro e luogo in cui una vecchia bellissima villa è stata adibita a foresteria per ospitare compagnie e artisti da tutto il mondo. E’ il giorno in cui inizia ufficialmente un progetto teatrale sulla morte di Gelsomina Verde, fortemente voluto da Davide Iodice, uno dei più brillanti registi della scena italiana. Alla spicciolata arrivano i cinque attori scelti per mettere in piedi lo spettacolo (Pietro Casella, Giuseppe D’Ambrosio, Francesco Lattarulo, Margherita Laterza, Maddalena Stornaiuolo). Lavoreranno per due settimane in una full immersion che li porterà a confrontarsi e scontrarsi con i propri personaggi. Ma soprattutto li costringerà, tutti e non solo Maddalena che la interpreterà, a conoscere chi era veramente Gelsomina Verde, anzi Mina come veniva chiamata nel quartiere, la ragazza di ventidue anni che lavorava in pelletteria e che aiutava i bambini del suo quartiere a studiare. La ragazza che a novembre del 2004 hanno sequestrato, torturato, ammazzato e poi hanno gettato nella sua macchina, dandole fuoco. Il suo unico torto era stato quello di aver frequentato per qualche mese Gennaro Notturno, che nella complicata geografia della camorra di allora ad un certo punto aveva deciso di passare dalla parte sbagliata. Per questo costretto a nascondersi. Mina per i suoi assassini doveva sapere dove.
“Conosco bene il disagio e l’emarginazione di cerca fasce sociali particolarmente svantaggiate – spiega Iovine -. Ho voluto sperimentare un linguaggio che scardinasse l’olografia criminale. Il film lavora sul piano dell’allegoria, della metafora, senza sparatorie, senza pietismo e retorica, con verità. Il giudizio oggi va sostituito da una nuova responsabilità sociale. La famiglia Verde è stata massacrata dai pregiudizi”.
“Il film è un atto dovuto alle persone che continuano a combattere perché lo Stato per troppo tempo non ha riconosciuto Mina una vittima innocente – aggiunge Arcopinto -.Lo dobbiamo soprattutto alla memoria del papà e alla mamma di Gelsomina, come dice il fratello Francesco “condannati all’ergastolo del dolore”, puniti più duramente degli assassini della figlia. Perché il dolore che ti spezza la vita rimane. Senza permessi, senza licenze, senza sconti, senza fine pena”.