Dal punto di vista grafico ci troviamo di fronte ad un’opera dal valore artistico sicuramente incontestabile, un’esperienza, però, che rimane cristallizzata alla forma di pura pittura capace di esaltare un gusto particolare dell’immagine ma inadeguata a sviluppare un contesto emozionale e verbale. Immortal ad Vitam, diretto dal disegnatore Enki Bilal ed ispirato alle tavole da lui realizzate per la trilogia dedicata all’eroe idealista Nikopol, si apre su di un panorama newyorkese futuristico e decadente che, se pur caratterizzato da forti elementi pittorici, difetta sensibilmente nell’andamento narrativo, imponendo un ritmo lento ed una iniziale disorganizzazione della vicenda che confonde e disorienta. Dunque un film acerbo ed incompleto che se conquista per delle immagini all’interno delle quali è spesso difficile riuscire a distinguere la finzione di ambientazioni e co-protagonisti dalla realtà e dalla carnalità degli unici tre attori utilizzati (Linda Hardy, Thomas Kretschmann e Charlotte Rampling), induce ad un lento e graduale stato di noia per una vicenda che appare fin troppo depurata e diluita nell’ennesima e prevedibile storia d’amore. Una superficialità che dipende probabilmente dalle regole da rispettare quando si affronta un adattamento, delle rinunce che non hanno avuto il merito di rendere efficacemente sintetica e funzionale la vicenda ma che l’hanno privata di una maggiore personalità e particolarità, gettandola nel caos narrativo.
In una New York datata 2095, intasata da macchine volanti dal look chiaramente anni Sessanta, assistiamo alla formazione di una particolare società multirazziale composta da umani, extraterrestri, non umani e, per finire, presenze divine provenienti direttamente dall’Antico Egitto che hanno come unico scopo quello di procreare. In questa caotica struttura resa ancor più confusa ed affollata dalla decisione di introdurre una sottospecie di dittatura medico-genetica a complicare la quotidianità, vengono inseriti quasi casualmente Jill, una donna non umana la cui natura e provenienza non verrà mai specificata, e Nikopol “evaso” casualmente dalla sua prigionia. A questo punto, rintracciati anche se con una certa fatica gli elementi fondamentali, si rimane in attesa del sopraggiungere degli eventi, delle cosiddette cause/effetto che dovrebbero infondere vitalità ed interesse alla vicenda. Un’attesa che si protrae senza ottenere soddisfazione. Privata di una forte contrapposizione, caratterizzata da un nemico mai ben definito, da una lotta mai pienamente espressa e da un amore cancellato dalla propria memoria, a questa vicenda non si rimprovera certo l’originalità e la particolarità dell’elemento fantastico quanto la mancanza di una struttura e di una precisa direzione narrativa. È sicuramente interessante confrontarsi con un finale aperto, ma quando ad essere altrettanto ampiamente interpretabile e riscrivibile è una intera vicenda si rimane quanto meno interdetti.
di Tiziana Morganti