Il produttore Pieter Jan Brugge per il suo debutto alla regia si è ispirato ad una vicenda di cronaca nera accaduta nel suo paese d’origine, l’Olanda, ove fece molto rumore. Successivamente è pervenuto alla conclusione che la storia aveva gli elementi per essere ambientata negli Stati Uniti, suo paese di residenza. Ne è scaturito il thriller psicologico In ostaggio (titolo originale The Clearing), e da buon produttore non si è fatto mancare un cast prestigioso: Robert Redford, Helen Mirren e Willem Dafoe. Quando un film è tratto da una storia vera il pubblico è inevitabilmente più coinvolto, non è soltanto pura finzione, ogni personaggio potenzialmente potrebbe essere ‘uno di noi’. Eppure, nonostante tutte queste favorevoli premesse, il problema principale di In ostaggio sono i pochi, troppo pochi, momenti di reale tensione, decisivi in un thriller, seppur psicologico. È un peccato perché, rispetto ai film su riscatti e rapimenti, c’è l’elemento di originalità dello spunto e della riflessione sul sogno americano e sul prezzo che le persone pagano per raggiungerlo e quello che paga chi ne è escluso.
Infatti Wayne Hayes (Robert Redford ) è l’emblema dell’American Dream: ricco, piacente, ottimo lavoro, una perfetta famiglia con una moglie fedele (Helen Mirren) e figli affettuosi, una bella villa con parco e piscina, una vita che scorre tranquilla. Tutto come si vorrebbe che fosse, ma l’imprevisto ha il ghigno di Arnold (Willem Dafoe), ex dipendente che rapisce il suo vecchio padrone Hayes con il quale ha un conto in sospeso. Lo costringe ad una estenuante marcia attraverso i boschi e, all’infuori di un drammatico scontro fisico, il film fa perno sullo scontro verbale tra rapito e rapitore, da cui scaturisce una sorta di confessione di Hayes. Il sogno americano è un Re nudo: Wayne ripercorrendo la sua vita e la sua ascesa al successo diventa consapevole del suo fallimento come uomo, uomo d’affari e marito. Percorso parallelo della moglie Eileen nell’interno ovattato della loro casa, la donna affronta con forza e dignità la caduta, una ad una, delle certezze, sino all’epilogo finale. Il fallimento è la maschera di rughe ormai molto pronunciate del 67enne Redford, che torna in un ruolo impegnativo anche da un punto di vista fisico.
di Riccardo Farina