Sei pezzi facili, ruvidi, ironici, dissacratori, esilaranti, scritti per il teatro e messi in scena dal geniale Mattia Torre e ora ritmati per la televisione dal regista Paolo Sorrentino, approdano dal 19 novembre per cinque sabati consecutivi in prima serata su Rai 3. A interpretarli gli stessi attori scelti a suo tempo dall’autore, prematuramente scomparso, per portare in palcoscenico i suoi indimenticabili personaggi. A cominciare da Valerio Mastandrea che con Migliore apre la serie proposta per il piccolo schermo da Rai Cultura, seguito il 27 novembre da Geppi Cucciari con Perfetta. In onda poi il 3 dicembre Valerio Aprea e Paolo Calabresi in Qui e Ora, seguiti il 10 dicembre da Giordano Agrusta, Massimo De Lorenzo, Cristina Pellegrino, Carlo De Ruggieri con 456. Il 17 dicembre chiude il ciclo Valerio Aprea con In mezzo al mare e con l’esilarante monologo Gola. Testi che fanno ridere su temi anche terribili, con una comicità rivoluzionaria ma mai fine a se stessa.
“Non è sempre facile coniugare il linguaggio teatrale con quello televisivo ma Torre è un classico della contemporaneità, aveva scritto per i suoi attori queste storie che riassumono i vizi e le virtù umane, senza giudicare”, sottolinea il direttore di Rai Cultura, Silvia Calandrelli.
“Un teatro comico ma dai temi profondi, delicati, anche paurosi. Molto libero e contemporaneo nell’uso delle parole, mai offensive, coerente nei toni. Ho voluto valorizzare il teatro geniale di Torre dando alla mia regia minimi appigli cinematografici – spiega Sorrentino presentando la serie a Viale Mazzini con gli attori -. Mattia aveva idee molto precise, non le ho alterate, non c’era bisogno di tanti interventi, solo di dargli un ritmo televisivo che combaciasse con il suo teatrale”. Il regista premio Oscar ha dunque scelto di girare sul palcoscenico dell’ Ambra Jovinelli , il teatro romano dove andarono in scena gli spettacoli, davanti a un pubblico vero. “Ho filmato il suo teatro senza uscire da quello spazio per farlo sembrare un film – sottolinea -, quando le cose funzionano non serve aggiungervi fantasia”.
“E’ il coronamento del lavoro di Mattia cominciato vent’anni fa in sordina, nei teatrini romani – spiega Aprea -, lui sarebbe impazzito a vedere le tante persone della troupe che Paolo s’è portato appresso, li avrebbe amati tutti, hanno arricchito il teatro col cinema messo al servizio della tv”.
“Per tutti noi è una sorta di viaggio sentimentale, è la prima volta recito senza Mattia, era un pensatore velocissimo, autoironico, ci faceva sentire piccoli, contraddittori – racconta Mastandrea-. La messa in scena filmica all’inizio mi ha messo angoscia ma Paolo è stato rispettosissimo del lavoro di Torre”. L’attore romano riproporrà nella prima puntata la storia comica e terribile di Alfredo Beaumont, un uomo normale che, in seguito a un incidente di cui è causa, entra in una crisi profonda e diventa un uomo cattivo. Una storia sui nostri tempi, sulle persone che costruiscono il loro successo sulla spregiudicatezza, il cinismo, il disprezzo per gli altri.
Geppi Cucciari racconta un mese di vita di una donna, attraverso le quattro fasi del ciclo femminile. Una radiografia sociale, emotiva, fisica, di ventotto comici e disperati giorni della sua vita.
Aprea e Calabresi invece sono le vittime di un incidente frontale tra due scooter in una strada sperduta della periferia di Roma; è il due giugno, festa nazionale, e i soccorsi tardano ad arrivare.
I protagonisti del divertente noir 456 sono padre, madre e figlio ignoranti, diffidenti, nervosi, che litigano, pregano, si odiano. Ma occorre una tregua, perché sta arrivando un ospite atteso da tempo, che può e deve cambiare il loro futuro.
Il personaggio di Aprea nell’episodio In mezzo al mare, dopo aver assistito a un incidente stradale deve testimoniare di fronte a un giudice ma la cosa gli riesce alquanto difficile perché ha realizzato di non capire niente, né di sé né del mondo che lo circonda. Nel monologo Gola, invece, l’attore suscita corpose risate con un ritratto dell’Italia visto attraverso il rapporto morboso con il cibo, simbolo di sovrabbondanza, di falso benessere ma anche di voragini psichiche, di vuoti incolmabili. Tra rabbia e ironia, il testo stigmatizza l’indifferenza di cui l’Italia è capace e che trova a tavola la sua massima espressione, il suo luogo ideale.