Ken Loach, il cineasta della classe operaia, torna a raccontare ingiustizia e lotta sociale nell’Irlanda degli anni Trenta nel film Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà, scritto da Paul Laverty, interpretato da Barry Ward, applaudito al Festival di Cannes. Il quasi ottantenne regista britannico ricorda Jimmy Gralton, l’unico irlandese espulso dal suo Paese come “immigrato clandestino”, senza processo, nell’agosto del 1933. La sua “grave colpa” fu aver costruito una sala da ballo di campagna, in un’Irlanda sull’orlo della Guerra civile. Un locale dove i giovani possono imparare, discutere, sognare e, soprattutto, ballare e divertirsi. Uno spazio libero in un paese sempre più autoritario, dominato dall’ideologia di una chiesa cattolica abituata a considerare l’istruzione come sua esclusiva prerogativa.
Il locale è sempre più affollato e popolare finché la sua fama di ritrovo di socialisti e liberi pensatori arriva alle orecchie della Chiesa e dei politici, all’epoca saldamente alleati, che costringono Jimmy a fuggire in America e la sala da ballo a chiudere. Dieci anni dopo, nel pieno della Grande Depressione, Jimmy torna nella Contea di Leitrim per prendersi cura di sua madre, deciso a condurre una vita tranquilla. La sala da ballo è abbandonata e nonostante le pressioni dei giovani del posto resta chiusa. Jimmy tocca con mano la povertà e l’oppressione culturale che affliggono la sua comunità, e il leader e l’attivista che sono in lui prendono il sopravvento. Decide di riaprire la sala, costi quello che costi.
Da un punto di vista storico la pellicola è complementare al precedente film di Loach, Il vento che accarezza l’erba, ambientata dieci anni dopo. Ne abbiamo parlato col regista, a Roma per presentare il film, nelle nostre sale dal 18 dicembre con BIM.
Cosa aveva di speciale questa storia da convincerla a farne un film?
Contraddice l’idea di una sinistra cupa e deprimente, nemica del divertimento e della gioia di vivere. Dimostra come la religione organizzata tenda a coalizzarsi con il potere economico, lo ha fatto allora e continua a farlo. Chiesa e Stato diventano agenti di oppressione.
Protagonista una sala da ballo rurale che tutto lo stato irlandese vuole distruggere. Cosa rappresenta?
E’ l’incarnazione di uno spirito libero, un luogo dove la gente può confrontarsi, coltivare la musica, la poesia, esprimere il proprio talento. La danza e la musica sono un’espressione della libertà, una cosa pericolosa per chi vorrebbe controllarci.
Cosa accomuna la grande depressione di quegli anni e l’attuale crisi?
La disoccupazione di massa, gli attacchi ai diritti dei lavoratori. I populisti di destra cominciavano a farsi sentire e oggi sono di nuovo tra noi. C’è un problema di leadership, nelle periferie ci sono gruppi che si difendono dagli attacchi sferrati ai disabili, ai senzatetto, il problema è metterli insieme, trovare una guida.
Paragonando quella sala all’attuale villaggio globale, chi potrebbe essere il Jimmy d’oggi?
Essere un leader è un peso. Le persone sono sospettose verso i leader carismatici.
Jimmy non le ricorda Assange, l’attivista australiano di WikiLeaks?
In comune hanno la voglia di spiegare la realtà delle cose, svelare i poteri sporchi, gli abusi o, come nel caso dell’informatico statunitense Edward Snowden, rivelare i dati sulla sorveglianza di massa dei governi statunitense e britannico sui cittadini occidenali. Tutti e tre sono stati perseguitati, la stampa britannica gli si è scagliata contro con particolare violenza.
In quarant’anni il suo cinema ha sempre guardato agli ultimi. Ha mai pensato di cambiare genere?
Solo a pensarci mi sento stanco! E’ più facile fare film sulle persone che ti piacciono, che ti fanno sorridere. Dalla classe operaia vengono le battute più divertenti, sono sempre stato attratto dalle loro difficoltà, dai loro conflitti.
Non ama invece i loro rappresentanti sindacali…
Da noi i sindacati sono i poliziotti che tengono a bada i lavoratori perché la classe dirigente non ce la fa da sola
Cos’è per lei oggi la libertà?
E’ la libertà di mercato che per la gente comune è una prigione e crea il desiderio di resistere. Ma tutto questo non viene rappresentato. Ci sarebbero tante storie da raccontare, per esempio sui disabili, particolarmente colpiti dalle restrizioni nel nostro paese.
Le piace il nuovo Papa?
Dice cose incoraggianti ma ha avuto una lunga carriera, dovremmo chiedergli che ruolo ha avuto nella repressione in Argentina e coi movimenti progressisti del Sud America, se sfida il sistema che produce i poveri.