Genio o follia? Se il passo è comunque breve, nulla sarà più come prima dopo questo film e se intendiamo come genialità una chiara e sentita ‘sterzata’ dai canoni espressivi della settima arte, ciò che un ristretto pubblico ha avuto modo di vedere giovedì 3 Ottobre 2003 è qualcosa che non passerà come una meteora nel mondo del cinema. Cultura ‘pulp’, cinefilia incallita verso il parossismo, tecniche di ripresa da videoclip; Tarantino parla una lingua che è quella della ultime tre generazioni, di chi è cresciuto a suon di fumetti, animazione giapponese e di tutti quelli che preferiscono un film di Ringo Lam a una soap opera; parlo di quella ristretta cerchia di persone che si ritiene miracolata se ha avuto modo di vedere una volta nella vita qualche puntata della serie The Green Hornet e che, contigua alla prima trilogia cronologica di Star Wars, tiene una copia rimediata chissà dove de La fortezza nascosta di Akira Kurosawa. Per tutte queste persone Tarantino ha lavorato, ha atteso, ha costruito qualcosa che le manderà in visibilio, tanta la sincera, appassionata e divertita rievocazione che si percepisce dall’inizio alla fine del suo film fuori dai generi, fuori da tutto.
Kill Bill (opera arrivata nei cinema spezzata in due parti) non è soltanto la sintesi delle passioni di un uomo, ma anche il frutto di quelle movenze che dai primi del ‘900 fondavano una cultura di uso prettamente popolare e visibilmente trash o di bassa levatura, ma che nello stesso tempo ponevano le basi della ‘pop-culture’. Personaggi che sono lo stereotipo fumettistico di loro stessi, si muovono sullo schermo in maniera incondizionata: una parola, un solo gesto traghetta lo spettatore verso la scena successiva la quale non ha nulla a che vedere con la precedente, anzi lo stacco è il quanto più possbile accentuato: si cambia luogo, continente, luce, costumi, addirittura si passa dal colore al bianco e nero, dal film al cartone animato. Che dire poi della suggestiva ambientazione sonora: la generazione videoclip ha imposto i suoi canoni e le sue tecniche di ripresa. Qui il brano musicale è il terzo protagonista in un duello a due, si schiera sì in modo neutrale tra le parti, ma impone i suoi ritmi e le sue dinamiche a chi si muove nel suo spazio diegetico. Cercare di capire un capolavoro avanguardista come Kill Bill con dei canoni linguistici obsoleti sarebbe un gravissimo errore. Il quarto film di Quentin Tarantino è il compendio di una cultura, di una fede, di una credenza associata fin dalla sua origine con connotati quali “leggerezza” e “disimpegno”, ma oggi, a distanza di cinquant’anni, al capezzale della cosiddetta cultura di serie A, si comprende come, per guardare al futuro, ci si debba rendere conto che anche la leggerezza ha il suo peso.
di Alessio Sperati