“Anzichè camminare l’equivalente di un viaggio dalla Svezia al Congo per portare cibo in tavola le casalinghe svedesi potranno camminare solo la distanza di un viaggio in Italia.” Questo era ciò che recitava una pubblicità svedese degli anni ’50 sulla cucina ideale e questo è il particolarissimo punto di partenza, la scintilla creatrice della quale Bent Hamer si è servito per realizzare la sceneggiatura di Kitchen Stories, suo terzo lungometraggio candidato all’Oscar 2004 come Miglior Film Straniero. Certo è che, trascorsi i primi fotogrammi all’interno dei quali è possibile ammirare massaie concentrate nello svolgimento di quotidiane attività coadiuvate da maschere ad ossigeno ed osservate da studiosi posti su dei curiosi trespoli/seggioloni, si ha la certezza di trovarsi di fronte ad un film pronto a servirsi di un’evidente ironia pur di descrivere situazioni ed immagini paradossali. Una convinzione però che, con il graduale mutamento della prospettiva e dell’ambientazione narrativa, si dissolve identificando lo spazio emozionale come unico protagonista. Con Kitchen Stories Bent Hamer dimostra come sia possibile scovare e carpire delle storie dall’accattivante semplicità nei luoghi più impensati, ricostruendo l’emozione là dove la freddezza e la razionalità dello studio statistico impone la sua rigidità. Come non sia impensabile gestire e realizzare una vicenda nella sua completezza espressiva utilizzando pochi ed essenziali elementi non solo scenografici ma, soprattutto umani. Due uomini, una cucina e la loro necessità espressiva. Questo l’essenziale corredo di cui il regista norvegese si è servito per rappresentare le complicate dinamiche di due solitudini che si osservano sospettose e che si fondono, involontariamente ed inevitabilmente, spinte dalla naturale necessità di comunicare il loro rifiuto ad essere catalogate ed incanalate all’interno di una precisa classificazione. “Un film toccante, intelligente e dai molti livelli di lettura, magificamente costruito, abilmente sceneggiato e recitato.” Ecco le motivazioni addotte dalla giuria per l’assegnazione del premio Fipresci 2003. Ma soprattutto un film che non mostra lontanamente la volontà di stupire e di sedurre con innovazioni registiche nè con un facile patetismo, ma che lascia alla narrazione la libertà di percorrere una naturale corrente, servendosi di un humor da introdurre con raffinata delicatezza all’interno di una favola dagli evidenti chiaroscuri emozionali.
di Tiziana Morganti